Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito diversi chiarimenti a proposito della procedura obbligatoria di conciliazione in caso di licenziamento per motivi economici dissipanando diversi dubbi procedurali.
Infatti, a questo proposito, il Ministero, attraverso la sua circolare n. 3 dello scorso 16 gennaio 2013, ha fornito i primi chiarimenti operativi circa la procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ovvero la nuova procedura prevista dall’articolo 7 della legge n. 604/1966 e riformulata dalla recente Riforma del Lavoro, legge n. 92/2012, voluta dal governo Monti e, in particolare, dal ministro Elsa Fornero.
La circolare emessa dal Ministero contiene informazioni sulla modalità procedura che devono seguire le Direzioni Provinciali del Lavoro e il datore di lavoro insieme al lavoratori, o le proprie rappresentanze.
Non solo, la circolare contiene anche particolari riferimenti in merito ai tempi, alle fasi previste ed alle modalità di soluzione della controversia, anche non espulsive, introducendo un intervallo temporale tra il momento in cui il datore di lavoro manifesta la propria volontà di recedere dal rapporto e quello nel quale il licenziamento esplica i propri effetti.
Infatti, per il Ministero questo intervallo temporale ha la sua utilità perché consente alle parti di confrontarsi presso una sede che offre garanzie di terzietà e di trovare soluzioni alternative al licenziamento. Il tutto comporta riflessi verso gli uffici periferici del Ministero perché postula la necessità di un loro coinvolgimento non soltanto nella fase della trattativa ma anche in quella di supporto, quali di segreteria o di protocollo, e di chiarificazione dei contenuti attraverso le strutture impegnate ad informare l’utenza.
Non solo, per il Ministero sono tenuti al rispetto della norma tutti i datori di lavori, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupino alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di cinque se imprenditori agricoli.