Il Dipartimento della Funzione Pubblica, attraverso la sua nota prot. DFP n. 2285 del 15 gennaio 2013, ha risposto ad un chiarimento richiesto dal Dipartimento per l’istruzione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in merito all’istituto del congedo straordinario di cui all’art. 42, commi 5 e ss., del D.L.vo. n. 151 del 2001. In particolare, il Dipartimento per l’istruzione del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca intende conoscere l’orientamento della Funzione Pubblica sugli effetti dell’assenza al lavoro sulla maturazione dell’anzianità di servizio ai fini della progressione economica e della pensione.
Ricordiamo che la normativa in questione concede alla lavoratrice madre o, in alternativa, al lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità da almeno cinque anni e che abbiano titolo a fruire dei benefici per l’assistenza del figlio, hanno diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta.
Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa.
Questa indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità e i datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente previdenziale competente.
A questo riguardo il Dipartimento della Funzione Pubblica precisa che
….il periodo del congedo deve essere riconosciuto ai fini dell’anzianità di servizio valevole per il raggiungimento del diritto a pensione e per la sua misura; questo si desume dalla circostanza che la legge ha previsto l’istituto della contribuzione figurativa (la quale, si ricorda, nel caso di specie vale solo per i lavoratori del settore privato, atteso che per i pubblici dipendenti la contribuzione è connessa alla retribuzione effettivamente versata dal datore di lavoro) che è valida per il diritto e per la misura della pensione. Occorre poi considerare il richiamo all’art. 4, comma 2, della Legge n. 53 del 2000, nel quale è previsto che il congedo non è computato nell’anzianità di servizio, lì dove l’anzianità di servizio è tenuta distinta dai “fini previdenziali”.
Pertanto, ad avviso dello scrivente, nell’esaminare l’istituto occorre distinguere la valenza dell’anzianità maturata nel corso della fruizione del congedo e, cioè, l’effetto che si produce rispetto al trattamento pensionistico e quello che riguarda invece il conseguimento del requisito per la progressione a fini economici e, quindi, i periodi di congedo sono validi ai fini pensionistici, ma non ai fini della progressione economica. Questa conclusione è confermata dalla considerazione che, di regola, i periodi rilevanti ai fini delle progressioni economiche presuppongono un’attività lavorativa effettivamente svolta, che porta ad un arricchimento della professionalità e ad un miglioramento delle capacità lavorative del dipendente, situazione che non ricorre nel momento in cui il dipendente si assenta dal servizio e non svolge la propria attività lavorativa