Non è un mistero che il mondo del lavoro di oggi sia molto diverso non solo rispetto a quello delle generazioni precedenti, ma anche a quello di qualche decennio fa. Immersi in un mercato in continua crescita, che si evolve rapidamente (con tutte le conseguenze positive e negative delle nuove tecnologie) e che richiede una sempre maggior specializzazione, ci si trova quotidianamente di fronte a nuove e inedite sfide non sempre facili da superare.
Una delle più pressanti è quella della maternità (e della paternità). E lo è tanto più in un paese come l’Italia, in cui non è un mistero che gli squilibri sociali ci siano e che le disparità fra i sessi sul mondo del lavoro siano tutt’altro che rare. Secondo i dati Istat del 2017, nel nostro paese l’occupazione femminile ha raggiunto il 49%: un record, certo, ma ancora ben lontano dalla media europea, che supera il 60%.
Combinare carriera e famiglia viene ormai percepito da molte donne come una missione impossibile. Un’indagine del Sole24Ore ha fotografato un quadro disperante: il 75% delle donne italiane ritiene assolutamente inconciliabile la carriera lavorativa e la famiglia. D’altronde, il 30% delle neomamme decide (o nei casi peggiori è costretta) a lasciare il lavoro dopo la gravidanza, e il 78% di tutte le domande di dimissioni volontarie nel 2016 sono state presentate proprio da madri lavoratrici.
Naturalmente, non bisogna cadere nella tentazione di immaginare un mondo lavorativo completamente ostile e chiuso alle donne che decidono di intraprendere la strada della maternità. Molte volte si tratta di scelte di vita, della decisione di occuparsi in primo luogo della famiglia. Nonostante ciò, di sicuro le difficoltà sono tante (mancanza di incentivi adeguati, durata troppo breve dei congedi per maternità, poche tutele) così come le discriminazioni (oltre la disparità di stipendio fra uomini e donne, c’è la cosiddetta “motherhood penalty“, ossia l’insieme di penalizzazioni a cui vanno incontro le donne nella contrattazione stipendiale e negli scatti di carriera).
Per fortuna, stanno lentamente sorgendo una serie di realtà che si propongono di invertire questa tendenza. E’ il caso di Maam, Maternity as a Master, un programma di formazione aziendale che vuole mostrare alle aziende e ai lavoratori che la maternità non è un ostacolo e un investimento “a perdere”, ma una risorsa importante. Essere genitori (e vale sia per gli uomini che per le donne) comporta l’acquisizione di nuove competenze. L’esperienza personale acquista in un ruolo importantissimo e unico come quello del genitore può essere “trasformata” in una serie di competenze lavorative utili e produttive. Sono proprio i neo-genitori a possedere (spesso a propria insaputa) le abilità di leadership, comunicative e di problem solving indispensabili per avere successo nel mondo del lavoro.
Il programma Maam si propone appunto di rinforzare tali abilità, rivolgendosi alle donne in attesa e ai papà e alla mamme con figli fra 0 e 3 anni. Lo fa accompagnandoli non solo durante il congedo, ma anche nel percorso di rientro a lavoro, allenandone quelle skill inconsciamente acquisite grazie alla loro preziosa esperienza genitoriale.
Appare chiaro come quello della maternità sia un nodo chiave nel panorama del mondo del lavoro di oggi, che bisogna cercare di sciogliere al più presto: senza, sarebbe impensabile immaginare un adeguato sviluppo sociale e lavorativo del mondo in cui viviamo.