Il D.lgs. n. 66 del 2003 ha recepito le disposizioni contenute nella direttiva 93/104/CE così come modificata dalla direttiva 2000/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 2000.
Il decreto intende regolamentare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, e nel pieno rispetto del ruolo della autonomia negoziale collettiva, i profili di disciplina del rapporto di lavoro connessi alla organizzazione dell’orario di lavoro.
Deve considerarsi lavoratore notturno chi svolge, durante il periodo notturno, almeno tre ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale, o svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro.
In difetto di disciplina collettiva e’ considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che presti lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all’anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.
I requisiti riferiti all’articolo 1 della legge devono considerati come alternativi, vale a dire che è sufficiente che solo uno dei due sia presente perché il lavoratore debba essere assoggettato alla particolare disciplina prevista per il lavoratori notturni.
La circolare del Ministero del Lavoro n. 8/2005 chiarisce ulteriormente questo punto.
Infatti, deve considerarsi lavoratore notturno anche colui che non sia impiegato in modo normale durante il periodo notturno ma che, nell’arco di un anno, svolga almeno 80 giorni di lavoro notturno.
Di conseguenza, il lavoratore che svolga solo alcune notti di lavoro, in maniera saltuaria e non regolare, ma per un numero di notti inferiore a quello previsto dal contratto collettivoo di lavoro o dalla legge (ottanta giorni all’anno) non può essere considerato lavoratore notturno con la conseguenza che allo stesso non si applicherà il limite massimo delle otto ore di lavoro giornaliero.
Ricordiamo, infine, che l’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle ventiquattro ore, salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.