Il termine Colf è nato dall’unione delle parole collaboratore familiare e si riferisce a tutti i lavoratori domestici regolati dalla legge 2 aprile 1958, n. 339.
Nell’art 1, con colf si indicano:
gli addetti ai servizi domestici che prestano la loro opera, continuativa e prevalente, di almeno 4 ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro, con retribuzione in denaro o in natura.
I colf, dunque, possono svolgere diverse mansioni a livello domestico. Possono, infatti, lavorare come camerieri, cuochi, governanti, giardineri, maggiordomi o dame di compagnia.
Il lavoratore domestico, proprio per il fatto di lavorare all’interno di una famiglia, nonostante presenti (a livello di legge) una normativa differenziata rispetto agli altri lavoratori, rappresenta un lavoratore subordinato a tutti gli effetti, con diritti e doveri stabiliti dalla legge e dai CCNL di riferimento.
I colf hanno, infatti, diritto alle ferie, al TFR, vengono tutelati in caso di malattia, infortunio e maternità. Hanno anche diritto a trattamenti assistenziali a carico dello Stato (per esempio all’assegno per il nucleo familiare, la maternità e la disoccupazione), a patto però che sia stata fatta la comunicazione di assunzione e siano in regola.
Nel 2009, la normativa di assunzione per i datori di lavoro domestici viene semplificata a vantaggio dei colf: l’INPS diventa il destinatario delle comunicazioni di assunzione, della cessazione (dimissioni o licenziamento) e della proroga del rapporto di lavoro del personale domestico.
I colf, poichè lavorano in un ambiente domestico ed entrano in contatto con bambini ed alimenti, hanno la necessità di presentare al datore di lavoro un certificato medico, rilasciato dalla ASL di appartenenza, in cui dichiarano di non avere malattie contagiose. Se i colf hanno meno di 18 anni, deve essere accertata anche l’idoneità al lavoro per la qualifica di assunzione. Se tali obblighi non sono effettuati, si va incontro a delle sanzioni, non solo pecuniarie, ma anche penali.
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