La Corte di Cassazione, con sentenza del 4 maggio 2011 n. 9769, ha chiarito che spetta al datore di lavoro, in virtù della discrezionalità sugli aspetti organizzativi della sua azienda, stabilire se esiste l’eventuale esigenza di ricorrere al lavoro a tempo parziale.
È, in effetti, l’azienda, in presenza di proprie esigenze organizzative e produttive, può accogliere domande di prestazione a tempo parziale presentate dai dipendenti in servizio o, in alternativa, assumere lavoratori a tempo parziale. In sostanza è un potere decisionale che compete solo al datore di lavoro e, per questa ragione, non è possibile mettere in discussione le scelte di questo tipo.
La sentenza della corte di Cassazione sottolinea l’opportunità di inserire la disciplina del part time nel contratto collettivo nazionale di riferimento o nell’integrativo aziendale. In questo caso l’azienda – sempre che ciò sia compatibile con le obiettive esigenze tecniche, organizzative e produttive – potrà accogliere prioritariamente le domande di quei lavoratori in servizio con l’inquadramento necessario che, appartenendo all’’unità produttiva in cui si è manifestata l’esigenza, siano riconosciuti idonei a svolgere le mansioni da svolgere.
Qualora la domanda di trasformazione del rapporto di lavoro venisse respinta il lavoratore potrà chiedere alla direzione aziendale i necessari chiarimenti in merito. Ad ogni modo, in sede aziendale potranno essere definiti, d’intesa con le organizzazioni sindacali aziendali facenti capo alle organizzazioni dei lavoratori stipulanti, criteri di precedenza per l’accoglimento delle domande.
Non solo, è anche possibile definire dei criteri di precedenza per l’accoglimento delle domande di trasformazione da tempo pieno e tempo parziale quali problemi di salute del lavoratore o di un membro del suo nucleo familiare che richiedano particolari forme di assistenza, gravi motivi familiari legati alla famiglia del prestatore e all’educazione dei figli o qualsiasi altre esigenze personali quali lo studio a attività sociali.
In caso di identiche motivazioni da parte di più richiedenti è possibile tenere conto dell’anzianità di servizio e delle esigenze aziendali.
La Corte ha ribadito che la posizione del lavoratore aspirante alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro non può essere qualificata in termini di diritto soggettivo, suscettibile di tutela risarcitoria relativamente alle modalità di esercizio.