Per i consumatori è un vero salasso; infatti, secondo alcune stime della Codacons, si calcolano in circa 385 euro l’aumento che subirà la famiglia media italiana grazie all’innalzamento di un punto l’aliquota IVA del 20%.
La maggior parte dei prodotti che il consumatore utilizza ricadono nella fascia del 20%: dai detersivi alle scarpe, dai prodotti di abbigliamento ai giocatoli. Non solo, saranno toccati anche le spese sui consumi giornalieri fino alle riparazioni domestiche.
Il Codacons, però, ritiene che alzando l’IVA si produrrà un effetto a spirale provocando aumenti anche non giustificati su prodotti che, di certo, non rientrano nell’aliquota di riferimento; in effetti, per Rienzi, presidente del Codacons, sulla testata online del Corriere della Sera osserva che
il rialzo porterà a un aumento di tutti i prodotti indistintamente perché l’Iva viene scaricata sui consumatori. Saremo destinati a veder salire anche l’inflazione
Altri osservatori stimano aumenti meno consistenti. La Federconsumatori ha posto sotto osservazione la benzina ritenendo che il consumatore dovrà sborsare quasi 500 euro ogni anni o la Cgia che in base a proprie stime valuta l’impatto contenuto. L’associazione di Mestre lo ha stimato considerando la disponibilità di spesa delle famiglie: più il reddito è basso e meno sarà il contributo perché minore è il loro budget. Per la Cgia una famiglia con 30 mila euro di reddito può ipotizzare un aumento tra 58 e 77 euro, mentre un’altra con 55 mila euro si arriva tranquillamente da 99 ai 123 euro.
Il maxiemendamento ha pure ridefinito il carico fiscale ai nostri parlamentari: si va da un ammorbidimento delle norme sull’incompatibilità fino alla riduzione dei tagli.
Se da una parte il governo chiede maggiori sacrifici al ceto medio-basso e ai pensionati, dall’altra parte bada bene a ridurre il taglio delle indennità dei membri di Camera e Senato previste inizialmente.
In effetti, in base al maxiemendamento il taglio alle loro indennità di carica, il 10% per la parte eccedente i 90 mila euro e il 20% su quella che supera i 150 mila, saranno valide solo per il 2011, 2012 e 2013: una marcia indietro rispetto alla soluzione iniziale e fatti salvi la presidenza della Repubblica e la Corte costituzionale.
Non solo, i parlamentari sono ancora liberi di esercitare un’altra professione senza nessuna rinuncia significativa della propria indennità; infatti, non saranno più tagliate al 50% le indennità come previsto nel testo originario ma solo del 20% sulla quota eccedente i 90 mila euro e del 40% sulla quota che supera il tetto dei 150 mila euro e solo per un periodo limitato.
Vedere per credere: ecco il testo del maxiemendamento:
a) ai parlamentari che svolgono qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15 per cento dell’indennità parlamentare la riduzione dell’indennità di cui al comma 1 si applica in misura del 20 per cento per la parte eccedente i 90.000 euro e fino a 150.000 euro, in misura del 40 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro. La riduzione si applica con le medesime decorrenza e durata di cui al comma 1.
Ed ecco la versione del mese di agosto 2011
a) l’indennità parlamentare è ridotta del 50 per cento per i parlamentari che svolgano qualsiasi attività lavorativa per la quale sia percepito un reddito uguale o superiore al 15 per cento dell’indennità medesima. La riduzione si applica a decorrere dal mese successivo al deposito presso la Camera di appartenenza della dichiarazione annuale relativa ai redditi delle persone fisiche di cui alla legge 5 luglio 1982, n. 441 dalla quale emerge il superamento del limite di cui al primo periodo;
Il maxiemendamento interviene anche sull’incompatibilità dei parlamentari definendo norme meno rigide: è ancora possibile ricoprire qualsiasi altra carica elettiva pubblica ma circoscritta alle altre cariche elettive di natura monocratica e relative a organi di governo di enti pubblici territoriali aventi popolazione superiore ai 5 mila abitanti.