L’Inail si occupa di tecnologia perché è certamente un fattore importante per ridare fiducia e autonomia ai lavoratori infortunati tanto da stringere rapporti di lavoro e ricerca con l’Istituto italiano di tecnologia di Genova.
Il direttore della fondazione Istituto italiano di tecnologia dal 2007, Simone Ungaro, ha recentemente ribadito la volontà di continuare su questa strada attraverso una nuova intesa per la sperimentazione di soluzioni robotiche nel trattamento degli infortunati sul lavoro al Centro per la riabilitazione motoria di Volterra.
“La nostra collaborazione con l’INAIL nasce da una condivisione di intenti: entrambi lavoriamo per il bene dell’uomo e le nostre attività sono complementari. I centri INAIL di Volterra e Vigorso di Budrio godono di un’ottima reputazione a livello internazionale nel campo della ricerca applicata. Per i nostri studi sulla robotica per la riabilitazione questa partnership offre la possibilità di testare sul campo i prototipi e di migliorarli sulla base delle indicazioni dei medici e fisioterapisti di Volterra, che hanno sviluppato un’expertise unica nel nostro Paese”.
L’Istituto genovese collabora con il Mit e con più di 30 altri enti di ricerca italiani e stranieri, tra cui figurano il Cnr, l’Istituto Tumori di Milano e il Korean Institute of Technology. A partire dal settembre 2009, inoltre, alla sede centrale dei laboratori, creata a Genova in una grande struttura di circa 30mila metri quadrati ricavata nell’area occupata in precedenza dall’Agenzia delle Entrate, si è progressivamente affiancata una rete di dieci laboratori presso alcune importanti istituzioni di ricerca e accademiche italiane, come i politecnici di Milano e Torino e la Normale di Pisa.
Lo staff del laboratorio centrale di ricerca è composto da 600 persone, tra cui prevalgono nettamente le figure scientifiche e di supporto tecnico, che equivalgono al 90% dei dipendenti con i un’età media di 34 anni. L’internazionalità dello staff è provata dalla provenienza dei ricercatori da oltre 30 nazioni nel mondo, chiara indicazione di un’inversione del fenomeno della fuga dei cervelli, con una percentuale pari a circa il 48% di ricercatori provenienti dall’estero, il 28% stranieri e il 20% italiani rientrati dopo un periodo trascorso in un altro Paese.