La Corte di cassazione, attraverso la sentenza n. 5241 del 2 aprile 2012, ha affermato che l’art. 3 del Decreto legislativo n. 368/2001 ha introdotto una quadruplice serie di divieti all’apposizione del termine ai contratti di lavoro subordinato, così rafforzando il peculiare disvalore che connota le assunzioni a termine effettuate in violazione degli specifici divieti stabiliti a protezione degli interessi intensamente qualificati sul piano costituzionale, e limitando l’autonomia delle parti nella stipulazione del contratto a termine.
Ricordiamo che l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa in quattro ipotesi, ovvero per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero e, salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che tale contratto sia concluso per provvedere a sostituzione di lavoratori assenti, ovvero sia concluso ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223. In questa ipotesi è necessario che la durata iniziale non sia superiore a tre mesi.
Non solo, non è nemmeno ammessa presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine o da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Per la Cassazione, il disvalore legislativo, sancito con il divieto a contrarre, viene, nella specie in considerazione con riferimento al divieto all’apposizione del termine da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del D.L.vo n. 626/1994, e successive modificazioni (art. 3, lettera d, D.L.vo n. 368/2001).
La specificità del precetto, alla stregua del quale la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trova la ragione nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro, sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione.
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