Si alza forte la voce dei lavoratori non più lavoratori ma ”navi senza nocchiero in gran tempesta”: un ”grido di dolore” che va ascoltato. È il dolore per non poter dare ai propri figli il necessario, l’angoscia di non avere un futuro, ma soprattutto di non poterlo garantire ai loro figli.
È un SOS al quale gli ”addetti ai lavori” devono dare risposte concrete. Gazzetta del Lavoro ha intervistato una delle vittime della Riforma Lavoro, già addetto di Italialavoro, agenzia strumentale del Ministero del Lavoro, rientrato negli ultimi tagli di dicembre scorso operati da Sacconi e confermati dalla Fornero. Ascoltatela…
Welfare to Work, cosa significa per lei?
In un opuscolo viene riportato: “mettere le persone, soprattutto quelle più svantaggiate, al centro delle politiche del lavoro, garantendo servizi personalizzati capaci di soddisfare i loro reali bisogni di orientamento, formazione, sostegno al reddito e collocamento”. Per me Welfare to Work è stato l’ultimo progetto al quale ho potuto “collaborare” – ora si usa dire così, lavorare suona brutto – ed uno dei periodi migliori che abbia passato. A parte la sua conclusione, naturalmente…dove si è notato che “la persona” non era per nulla al centro dei loro pensieri e che per loro poteva essere usata e successivamente gettata via senza alcun bisogno di sostegno, interesse o anche solo una telefonata che ti spiegasse cosa stesse succedendo.
Quale lavoro svolge o svolgeva esattamente?
Il mio compito era colloquiare con i lavoratori di un bacino a noi assegnato di cassintegrati o in mobilità, fornendo loro un supporto in termini di legge e agevolazioni per il loro ricollocamento. Una sorta di “consulenza gratuita”, oltre ad affiancare il Ministero nel monitoraggio degli ammortizzatori sociali erogati.
Cos’è cambiato in questi ultimi anni?
La normativa peggiora di riforma in riforma, la Cgil cerca di essere sempre più presente, mentre Cisl e Uil sono completamente scomparse ai nostri occhi. Solo l’incertezza e l’angoscia del presente sono sempre costanti.
Come hanno influito in generale le ultime normative sul mercato del lavoro?
Hanno distrutto la nostra esistenza, portando la precarietà da forma di contratto a forma di (non) vita.
E nel suo settore specifico?
Hanno impedito o fornito l’alibi giusto per non stabilizzarci. In fondo, che si comporti così uno come Marchionne, un padrone all’antica, è anche comprensibile. Che lo faccia “Il Ministero del Lavoro”…lo è un po’ meno:(tra l’altro, notare che l’agenzia privata Obiettivo Lavoro ha stabilizzato il suoi lavoratori, mentre l’agenzia pubblica Italialavoro li ha abbandonati senza alcun riguardo…)
Quali sono, secondo lei, le lacune di queste leggi?
Sarò cinico, ma non vedo lacune. Volevano rovinarci l’esistenza e ci sono riusciti perfettamente. Forse, ma non credo, hanno “salvato la bandiera dei conti pubblici”, ma intorno ad essa non sono rimaste che macerie e cadaveri di suicidi in decomposizione.
Chi è stato maggiormente penalizzato?
I figli di quello che una volta chiamavano “proletariato”. I figli di quelli che non conoscono nessuno al quale appellarsi, insomma. Quelli come noi.
Quali conseguenze pensa che ci saranno sul mercato del lavoro?
Perché, esiste qui “un mercato”? Da 9 mesi mi han fatto tornare disoccupato e non si riesce a trovare nulla. Ormai agli annunci neanche ti rispondono dall’altra parte e riescono a chiederti un’esperienza di 2 anni per fare un semplice “addetto alle pulizie”, pulire i cessi, insomma…o 1 anno e più per fare lo “scaffalista”, ovverosia mettere degli stupidi scatoli su degli scaffali…
Da chi vi sentite tutelati o avete come punto di riferimento per poter trovare soluzioni al problema?
Tutela è una parola molto grossa, di questi tempi. Diciamo che l’unico supporto trovato finora è stato quello della Cgil ed in particolare del Nidil, la categoria che riunisce i vari precari di tutti i settori lavorativi. Supporto, informazione, sostegno, appoggio…ma poi, con questo tipo di contratti individuali, sei sempre tu a doverti muovere – quasi – da solo. E, cosa ancor più grave, quasi non trovando alcuna solidarietà e vicinanza dai tuoi ex-colleghi.
Come pensa debba essere cambiata la legge?
Fino a quando sarà permessa legalmente la precarietà, ci sarà sempre qualche sadico che la userà per distruggere la vita delle persone.
Cosa pensano le aziende di queste leggi?
La maggior parte delle aziende che si definiscono tali in Italia ne è entusiasta. Le poche che lo sono realmente non sanno cosa farsene. Prendono pochi, pochissimi lavoratori, ma li formano e gli danno subito un contratto fisso, per non farli scappare altrove. Ma è una specie in via di estinzione.
Le aziende stanno cercando soluzioni idonee a superare il problema o seguono la loro logica aziendale?
Badano all’immediato, senza investire mai in ricerca e collaborazione, tipo cooperative o i consorzi. Condannandosi tutte a morte certa. Chi prima, chi dopo.
Perché i politici non ascoltano le vostre richieste?
Perché, a parte qualcuno, non hanno più voglia come categoria di interessarsi realmente dei problemi, perché significherebbe esporsi e andare ad incorrere loro stessi in problemi e noie varie. Meglio filosofare sul generale, non si rischia nulla, si perde molto poco.
Quali prospettive per il futuro se non si trovano soluzioni idonee all’attuale mercato del lavoro?
La mendicanza. L’elemosina. O la fuga in Germania, per chi può permetterselo e conosce un po’ le lingue.
Chi dovrebbe farsi carico di questa situazione e risolvere il problema in tempi brevi?
Intanto dovrebbero imparare a farlo gli stessi lavoratori. Se hanno un problema, prima di tutto devono essere loro stessi ad interessarsene, scrivendo e rivendicando, e non aspettare che arrivi un qualche salvatore. E se non hanno un problema al momento, comunque partecipare e supportare il sindacato che ritengono migliore. “In tempi brevi” è difficile che migliori la situazione. Ormai l’industria nazionale l’hanno distrutta e lasciata distruggere allegramente. Ci vorrà qualche decennio prima che si torni ad un livello accettabile di sussistenza.
Quale appello vuole lanciare agli organi competenti perché rivedano le leggi e le rendano più aderenti all’attuale realtà di mercato lasciando da parte teorie e progetti a lungo termine perché il vero problema è l’oggi e al domani bisogna arrivarci?
Negli attuali organi competenti non nutro ormai alcuna fiducia. Se sono in grado, per me come per le ultime due generazioni gettate nel baratro della precarietà s’impegnino a far qualcosa per farci cambiare giudizio. L’unico appello, che possiamo lanciare da subito, è che se vogliono continuare a torturarci l’esistenza con queste leggi, lo facciano pure, data la loro natura, ma che evitino almeno di prenderci in giro e insultarci ogni santo giorno dagli schermi della televisione. Che la tortura sia legale in questo Paese, non significa che sia accettabile e giusta, specie se da “un’autorità”.
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