La normativa sul Trattamento di Fine Rapporto penalizza datori di lavoro e dipendenti. In effetti, la riforma del TFR ha sottratto alle aziende un’importante forma di autofinanziamento con il solo scopo di rimpinguare le casse erariali: nel 2007, infatti, le imprese sono state sottoposte ad un notevole prelievo. E di qui, alla carenza di liquidità il passo è breve.
Peraltro, la crisi economica trova le sue cause più evidenti proprio nella carenza della liquidità delle aziende e nella stretta creditizia effettuata da parte di molte banche nei confronti delle imprese, molte delle quali hanno dovuto dichiarare fallimento. E, se alla carenza di liquidità delle imprese causata dalla crisi aggiungiamo anche alcune scelte di Governo degli ultimi anni, è chiaro il motivo per il quale è venuto a delinearsi uno scenario di estrema criticità.
Per fortuna la seconda riforma del TFR attuata nel 2012 non ha penalizzato ancor più le aziende: ha toccato, infatti, soltanto la tassazione a carico dei lavoratori sul Trattamento di Fine Rapporto e mandato di elevato importo. Comunque, si è arrivati alla conclusione che il TFR conviene tenerlo in azienda.
Vediamo ora quali sono i vantaggi per lavoratori e aziende nel lasciare il Trattamento di Fine Rapporto presso il datore di lavoro, allo scopo di garantirgli un’alternativa per contare su una certa liquidità. Ma per arrivare ad una conclusione cominciamo dall’inizio, ovvero dal 2007, l’anno in cui è stato istituito per le aziende private con almeno cinquanta addetti il Fondo di Tesoreria, un fondo per la raccolta delle quote di trattamento di fine rapporto di lavoro maturate dal 1° gennaio dell’anno in corso.
I lavoratori possono sempre disporre del Trattamento di Fine Rapporto al momento della cessazione del rapporto di lavoro o chiederne un’anticipazione nei casi previsti dalla legge (acquisto della prima casa, spese sanitarie, ecc.). Per le aziende, invece, la situazione è diversa, in quanto è stata revocata loro la facoltà di trattenere l’accantonamento TFR e, quindi, di autofinanziarsi: gli importi dell’accantonamento TFR, infatti, vanno versati all’Inps per poi confluire nell’apposito Fondo.
I rapporti tra impresa e lavoratore, relativamente al TFR, non sono cambiati: il lavoratore che ha bisogno di un anticipo del Trattamento di Fine Rapporto deve fare domanda al datore di lavoro il quale anticiperà l’importo richiesto per recuperarlo in seguito dall’Inps. In realtà, molte imprese hanno rivisto le proprie politiche di sviluppo per mantenere il TFR in azienda, pur consapevoli dell’inevitabile esodo di capitale verso le casse dell’Inps.
Per concludere il discorso sui vantaggi dell’accantonamento del Trattamento di Fine Rapporto in azienda per lavoratori e imprese, potremmo affermare (il condizionale è d’obbligo), che questa scelta del governo, sopprimendo un’importante fonte di autofinanziamento per le imprese, non solo ha ulteriormente penalizzato le imprese, ma anche i lavoratori, poiché ha scoraggiato gli imprenditori all’assunzione di personale, limitando quindi la crescita delle imprese entro i cinquanta dipendenti.
Un po’ di conti per capire meglio
16,5 milioni di lavoratori (76,6% del totale) hanno scelto di mantenere il Trattamento di Fine Rapporto in azienda, per poi investirlo o riversarlo nei fondi pensione. E si sono trovati bene, in quanto in questi ultimi due anni di crisi hanno ottenuto un rendimento del +4,7%, contro il +1,7% degli iscritti a un fondo negoziale (scelti da due milioni di lavoratori) e segno meno di chi ha investito il proprio TFR nei fondi pensione aperti (su cui hanno investito 820 mila occupati). I risultati, naturalmente, saranno più chiari nel medio-lungo periodo e solo allora si potrà affermare con certezza quale sia la scelta migliore.
APPROFONDIMENTI
*Anticipazione TFR, limiti all’erogazione dei datori di lavoro
*Anticipazione del Tfr per giustificato motivo
*Scelta destinazione TFR