Oggi si sciopera anche per affermare il ruolo preminente dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Infatti, con l’art. 31 del collegato lavoro il Legislatore elimina l’obbligatorietà, D.L. n. 80/1998, del tentativo di conciliazione reintroducendo la normativa in vigore fino al 1998.
Non solo, le parole dell’assessore al Lavoro, Pari Opportunità e politiche giovanili della regione Lazio, Alessandra Tibaldi, non lasciano dubbi sulla posizione dell’opposizione:
Siamo in presenza di un attacco senza precedenti al mondo del lavoro ed ai principi di civiltà giuridica del nostro ordinamento giuslavoristico.
Di fronte a questo inaudito attacco al sistema di tutele e diritti delle lavoratrici e dei lavoratori mi unisco al coro di tutto coloro che stanno aderendo all’appello contro questa controriforma, che aggira subdolamente l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Tutto il mondo sindacale, in particolare la CGIL, è particolarmente critico sulla norma; infatti, il testo in materia di arbitrato prevede che le controversie tra il datore di lavoro e il lavoratore dipendente, qualora specificato nel contratto, possano essere risolte anche in sede di arbitrato, in alternativa al giudice del lavoro.
Il lodo arbitrale potrà essere deciso sulla base del principio “secondo equità”, che in realtà significa poter non tener conto di leggi e contratti (delle norme lavoristiche) , ma solo di un “buon senso”.
Il lodo, poi, non può essere impugnato.
La Legge poi prevede la possibilità di inserire nei contratti di lavoro delle clausole con cui il lavoratore e il datore di lavoro decidono di devolvere le eventuali future controversie ad un arbitrato, invece che al Giudice del lavoro.
In base all’art. 31 le clausole saranno considerate valide a condizione che siano consentite dalla contrattazione collettiva, ma, attenzione, la legge prevede che, dopo dodici mesi dalla sua entrata in vigore, si potranno comunque sottoscrivere.
In sostanza, il datore di lavoro può fare inserire nella lettera di assunzione delle clausole particolari al fine di risolvere le controversie di lavoro attraverso il collegio arbitrale e il lavoratore è costretto, suo malgrado, ad accettare.
In sostanza, secondo il collegato lavoro tutte le conciliazioni in materia di lavoro, in qualunque sede, divengono facoltative; ad eccezione, soltanto, quella prevista dall’art. 80 del D.L.vo n. 276/2003, come previsto dal comma 2 dell’art. 31: ossia un contratto certificato che si intenda impugnare.
Le novità introdotte dall’articolo 31 prevedono la modifica delle seguenti norme:
- sostituzione del testo dell’art. 410 cpc
- obbligatorietà del tentativo di conciliazione di cui all’art.80 del dec.lg.vo n.276/03
- sostituzione del testo dell’art. 411 del cpc
- variazione parziale del testo dell’art. 420 cpc
Con la sostituzione della parola “deve” con la parola “può” nell’art. 410 cpc il tentativo di conciliazione diviene così facoltativo non solo nel settore privato ma anche in quello pubblico.
Infatti, a questo proposito il comma 8 dell’art. 31 dopo aver abrogato gli articoli 65 e 66 del D.L.vo n. 165/2001, afferma che alle controversie individuate dall’art. 63, comma 1, del medesimo decreto legislativo, si applica la normativa del settore privato.