Il tenore della sentenza n. 34492 della Corte di Cassazione non lascia dubbi: il bullismo non si combatte alzando un muro tra il docente e l’alunno, o meglio non è pensabile obbligare a scrivere sul quaderno frasi ingiuriose nei propri confronti al fine di limitare il fenomeno di questo tipo.
Infatti, la suprema corte ha confermato la condanna di una docente per abuso di mezzi di correzione che, per punire un alunno di 11 anni, l’aveva costretto a scrivere per cento volte sul quaderno una frase ingiuriosa.
In questo modo, sempre per la Corte di Cassazione, si intende
rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) sono decisi dai rapporti di forza o di potere
La posizione del docente non è stata condivisa dalla corte e ha confermato la condanna comminata nel precedente grado di giudizio, ossia di 30 giorni di reclusione, di abuso di mezzi di correzione o di disciplina, così come prevede l’articolo 571 del Codice penale.
Per il Tribunale di Palermo il comportamento dell’alunno non è stato per nulla bullistico, ma, al contrario, l’insegnate aveva manifestato
un comportamento afflittivo ed umiliante, trasmodante l’esercizio della sua funzione educativa
La posizione del Tribunale di Palermo è stata ribadita dalla cassazione tanto che, in base anche al diritto di famiglia e alla convenzione delle Nazioni unite sui diritti del bambino, ha espresso chiarimenti sul termine “correzione” e ha posto l’accento sull’educazione.
Per la Cassazione
Non può ritenersi lecito l’uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi, e ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti
Rispetto alla sentenza del Tribunale di Palermo, la Suprema corte ha disposto una riduzione di pena perché la lesione deve essere sempre provato; in effetti, per il Tribunale all’insegnate andava attribuito l’aggravante di aver provocato nell’adolescente un disturbo del comportamento, cosa per nulla provata.