Qualora il lavoratore dipendente riscontrasse un’attività dannosa alla sua salute allora può rifiutarsi a prestare la propria attività di lavoro anche se fosse in possesso del relativo certificati di idoneità emesso dalla locare Azienda Sanitaria: ecco in sostanza il significato della sentenza 16361/2011 depositata lo scorso 26 luglio 2011 della Corte di Cassazione.
Normalmente, un contrasto di lavoro di questo tipo si potrebbe rescindere invocando l’articolo 2119 del codice civile, ovvero tra le ipotesi di licenziamento per giusta causa. In effetti, ciascuno dei contraenti, datore di lavoro o lavoratore, può recedere dal contratto prima della scadenza del termine – se il contratto è a tempo determinato, senza preavviso o se il contratto è a tempo indeterminato – qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. La giurisprudenza ha più volte chiarito che la giusta causa si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro.
In tal caso, il datore di lavoro può recedere dal contratto senza adempiere al suo obbligo di preavviso e nemmeno di corrispondere la relativa indennità di mancato preavviso.
In pratica, il datore di lavoro non può chiedere al suo dipendente di adempiere ad una attività lavorativa se la stessa si riveli pericolosa per la propria incolumità anche se dispone del certificato di idoneità che provi che il lavoratore stesso è in grado di svolgere la mansione relativa: il diritto alla salute è superiore rispetto a quello del lavoro.
In questo senso, la corte di Cassazione, ha deciso di considerare che una prestazione lavorativa richiesta in questo modo non può rientrare tra quelle previste normalmente in un rapporto di lavoro tanto che il recesso esercitato dal datore di lavoro è considerato illegittimo e il lavoratore deve essere reintegrato in servizio.
Una sentenza interessante che sancisce la preminenza del diritto alla salute.