Dalla CGIL una proposta di legge per dare un freno al caporalato. In effetti, per la maggiore organizzazione sindacale italiana, il caporalato deve diventare un reato penale e l’appello espresso dalla CGIL – insieme alla FLAI e alla FILLEA CGIL con la campagna ‘STOP caporalato’ – è stato raccolto dal Partito Democratico presentando una proposta di legge che mira a fissare una pena tra cinque e otto anni di reclusione.
Il disegno di legge, ovvero il Ddl 2584 recante ‘misure volte alla penalizzazione del fenomeno d’intermediazione di manodopera basato sullo sfruttamento dell’attività lavorativa’, è per Strania Crogi, segretario generale della FLAI CGIL
Il frutto tangibile di una battaglia sindacale che la FLAI ha intrapreso insieme alla FILLEA e alla CGIL all’inizio dell’anno e che aveva come fine ultimo proprio quello di spingere il Parlamento italiano a formulare una legge che rendesse il caporalato un reato penale
Il caporalato è la somministrazione illegale di manodopera che trova nel settore agricolo e in quello edile quello maggiormente colpito. La battaglia condotta anche dalla CGIL mira a contrastare questo odioso fenomeno ma che deve essere affrontato soprattutto su un piano culturale e di civiltà perché non si può privare uomini e donne, specie se migranti, di ogni diritto e ridotti in schiavitù.
Per Walter Schiavella, Segretario Generale della FILLEA CGIL, per il caporalato esiste
Una carenza dell’attuale legislazione per il contrasto all’intermediazione illegale di manodopera, in un momento nel quale la crisi fa diventare questo fenomeno quantopiù attuale
Occorre per prima cosa introdurre una cultura della legalità nel settore delle costruzioni perché questa, per il dirigente sindacale
è la precondizione per la qualità dello sviluppo, dell’impresa e del lavoro
Per DireOnLine2003, periodico del Dipartimento di Ricerche Europee dell’Università Degli Studi Di Genova
Drammatiche sono le condizioni di vita e di lavoro: dieci ore di duro lavoro ed una “retribuzione” che non supera i 20 euro al giorno, il 40% di loro vive in edifici abbandonati e fatiscenti, oltre il 50% non dispone di acqua potabile, mentre il 30% non ha elettricità e il 43,2% manca di servizi igienici.
Il 30% ha subito una qualche forma di abuso, violenza o maltrattamento negli ultimi sei mesi e, nell’82,5% dei casi, l’aggressore era italiano.
Si tratta, soprattutto, di giovani di età compresa tra i 16 e i 34 anni, provenienti principalmente dall’Africa sub-sahariana, ma anche da Paesi dell’Est europeo (in particolare, da Romania e Bulgaria).