Attraverso la sua ultima comunicazione, newsletter dello scorso 1° marzo 2013, il Garante della Privacy, ha voluto fornire diversi chiarimenti in merito all’utilizzo delle telecamere all’interno dei luoghi di lavoro; in particolare, quando l’utilizzo delle telecamere vìola l’accordo che era stato sottoscritto con i sindacati per l’installazione delle stesse.
Per il Garante l’uso delle telecamere nei luoghi di lavoro è pienamente legittimo a patto che il datore di lavoro non violi i diritti dei lavoratori; infatti, sempre da più tempo, il servizio di televigilanza, con scopo di anti-taccheggio e anti-rapina, è sempre più presente ed è diventato un elemento indispensabile per la tutela del patrimonio aziendale anche se non devono essere tollerate forme di controllo a distanza a carico dei lavoratori.
A questo proposito, il Garante ricorda che l’esercente ha l’obbligo di segnalare la loro presenza e affidare la loro gestione non a personale interno, ma a guardie giurate che, dato il loro particolare ruolo, devono essere autorizzate dall’autorità di polizia.
Il parere arriva in seguito all’attività ispettiva condotta dalla Questura di Genova, che ha bloccato il trattamento dei dati effettuato tramite il sistema di videosorveglianza installato in un esercizio di un’importante catena commerciale.
In base alla verifica del Garante, si apprende che dalle verifiche effettuate è emerso che la società aveva violato in più punti l’accordo che era stato sottoscritto con i sindacati per l’installazione delle telecamere sul luogo di lavoro, così come prevede il nostro ordinamento giuridico (statuto dei lavoratori, ad esempio).
In particolare, una videocamera invece che essere utilizzata per finalità di sicurezza, inquadrava il sistema di rilevazione degli accessi dei dipendenti, consentendo il controllo a distanza dei lavoratori: sistema non tollerato dalla legge 300/70.
Non solo,
Le immagini registrate risultavano poi accessibili con modalità diverse da quelle concordate. Non erano in regola neppure i cartelli con l’informativa semplificata utilizzati per segnalare la presenza dell’impianto di videosorveglianza: non solo non contenevano tutte le informazioni necessarie, ma erano in numero esiguo e, a volte, collocati in posizione non chiaramente visibile (ad es. alle spalle di un espositore). Dai riscontri della Questura è emerso, inoltre, che l’impianto di videosorveglianza era stato affidato in gestione a un consorzio di ditte esterne che utilizzava per il servizio personale non qualificato. Chi effettuava il controllo delle immagini era, infatti, privo della licenza prefettizia di “guardia particolare giurata”, necessaria per poter svolgere funzioni anti-rapina e anti-taccheggio, e non era stato designato incaricato del trattamento dei dati personali. Il Garante della privacy ha imposto all’esercente di provvedere a sanare tutte le violazioni riscontrate e ha bloccato il trattamento dei dati effettuato attraverso il sistema di videosorveglianza. Ha anche trasmesso copia degli atti e del provvedimento all’autorità giudiziaria al fine di valutare gli eventuali illeciti penali commessi.