Come noto, con gli ultimi provvedimenti in materia di lavoro, il governo ha lanciato sul mercato italiano il concetto di “presunzione” di falsità della partita IVA e, di conseguenza, l’assimilazione a co.co.co. del lavoratore celato attraverso l’attribuzione di una posizione IVA.
La presunzione scatta quando le prestazioni lavorative rese dalla persona titolare di posizione fiscale ai fini IVA prevedano il rispetto di almeno due dei tre requisiti principali stabiliti dalla norma. Se i requisiti sono rispettati, e salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, le prestazioni fornite dalla partita IVA saranno in tutto e per tutto ricondotte all’interno di un rapporto co.co.co. per presunzione legale, con conseguente presenza di un “progetto” al fine di sancirne la legittimità.
I presupposti di presunzione delle false partite IVA sono stati rivisti gradualmente nel corso delle settimane che hanno anticipato il varo della manovra, fino a tale versione definitiva: collaborazione con durata complessiva superiore a 8 mesi in un anno solare; corrispettivo da collaborazione, anche se fatturato a più soggetti che siano riconducibili allo stesso centro di interessi, che costituisce più dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’anno solare; collaboratore che disponga di una postazione fissa presso una delle sedi del committente.
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Pertanto, come sopra abbiamo avuto modo di anticipare, in presenza di un progetto la partita IVA si trasforma in co.co.pro. con partita IVA, applicandosi la disciplina delle co.co.pro. Se invece manca il progetto, la partita IVA è considerata rapporto dipendente a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (dalla prima fattura). A prescindere dalla presenza o meno di un progetto, inoltre, la collaborazione è considerata rapporto dipendente a tempo indeterminato se l’attività è svolta con modalità analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti.
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