Importante sentenza della Corte di giustizia europea che nega una riduzione delle tutele da parte del decreto n. 368 del 2001.
Le assunzioni a termine sono particolari contratti lavoro che un datore può instaurare per risolvere un problema contingente, ovvero l’assunzione di lavoratori dipendenti assenti per malattia.
La legge n. 230/1962 che obbligava al datore di lavoro di indicare il nome del lavoratore assente, oltre ai motivi, nella stipula del contratto è stato sostituito dal decreto n. 368/2001 che contiene norme più elastiche consentendo, a questo riguardo, la possibilità di non dover indicare in maniera diretta l’eventuale lavoratore sostituito.
In effetti, la sentenza n. 98/2009 della Corte europea ha definitivamente sancito che il passaggio dalla vecchia normativa a quella attuale non viola la clausola 8 della direttiva UE 1999/70. La direttiva in oggetto vieta espressamente alle autorità locali di introdurre norme che possono limitare le tutele offerte ai lavoratori.
La decisone della Corte europea ha, ad ogni modo, fatto presente che non si può stabilire un arretramento delle tutele quando il provvedimento è finalizzato ad una categoria di lavoratori ben delimitati e non alla loro totalità e, inoltre, alle eventuali nuove condizioni di lavoro devono corrispondere altre tutele.
Questa tutele devono essere verificate dalla giurisprudenza di ciascun stato.
Ricordiamo che in questo caso la Corte europea si è espressa a fronte di una sollecitazioni di un tribunale italiano che ha voluto chiedere lumi a Strasburgo sulla causa tra le Poste e 15000 lavoratori chiamati a sostituire personale dell’azienda italiana.
La clausola della direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato stabilisce alcun criteri che lo stato membro deve attenersi.
Si riconosce, prima di tutto, che lo stato membro e le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli di quelle già stabilite nella direttiva 1999/70 e l’applicazione dell’accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori così come prevede la direttiva stessa.