La pausa estiva non può certamente far dimenticare le vertenze in atto per la difesa dell’occupazione.
Le aziende in difficoltà sono tante, dalla Fiat a Unicredit, da Agile a Tirrenia.
È vero, ora vogliamo solo non pensare alla nostra pausa estiva, ma la realtà che ci attende tra non molto è pregnante di tensioni e di incertezze.
Fiat è un tavolo complesso in grado di incidere sulle future relazioni sindacali e, in modo pesante, sulla regione Piemonte.
L’accordo su Pomigliano ha portato a serie conseguenze di cui ad oggi non possiamo ancora capirne la portata ma che, ad ogni modo, sembra ancora non bastare.
In effetti, immediatamente dopo il referendum interno allo stabilimento di Pomigliano si è aperta un’altra importante trattativa: quello del destino dell’unità produttiva del Lingotto di Torino.
Certamente, l’accordo per il rilancio dello stabilimento campano è ormai una realtà consolidata sancita da un referendum: adesso occorre dare corpo alla volontà della direzione campana e dei lavoratori alla realizzazione della Nuova Panda e ai 700 milioni di investimenti.
Dall’altra parte c’è ancora da capire come il nuovo piano industriale della Fiat si declinerà nei diversi siti italiani, per prima cosa sul Lingotto.
L’amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha dato ampie rassicurazioni ai sindacati della volontà di procedere ad applicare il piano da 20 miliardi di euro di investimenti nei prossimi cinque anni a fronte della garanzia di produttività degli impianti.
Di sicuro, se comparassimo il costo dei lavoratori italiani con quelli stranieri scopriremo delle cose già di per sé ovvie. È chiaro che in Serbia il costo di un lavoratore non è minimamente paragonabile con quello italiano (ma questo per diversi motivi), ma è altrettanto ovvio che non è possibile fare la guerra tra poveri perché il problema non si risolve distribuendo equamente la povertà.
Occorre una decisione forte.
Occorrono sinergie fino ad oggi mai espresse. In sostanza ognuno deve fare la sua parte, ma è necessario, per prima cosa, un piano industriale da parte dello Stato in grado di coinvolgere le diverse risorse e far leva su considerazioni tecnologiche, economiche e fiscali.
Occorre cercare di offrire alternative serie al desidero di disinvestire in Italia attraverso una politica fiscale (magari con zone franche), investimenti tecnologici e con una contrattazione articolata.
Quando finirà la pausa estiva le sigle sindacali dovranno confrontarsi sul ruolo del contratto nazionale di lavoro. un contratto nazionale adattato alle esigenze dei differenti settori, a partire da quello dell’auto.
Dal versante opposto, l’economista Riccardo Moro è abbastanza critico in merito ai comportamenti, non sempre coerenti, di Sergio Marchionne.