La corte di Cassazione, con sentenza n. 14411 del 30 giugno 2011, ha voluto chiarire un importante principio: la firma apposta dal lavoratore sui loro prospetti paga non sottrae la responsabilità del datore di lavoro sugli importi riportati. È inutile invocare la firma in calce sui loro prospetti paga perché non è possibile invocare la l’accettazione per ricevuta e impedire ai lavoratori di agire giudizialmente per il conseguimento delle differenze retributive pretese per il maggior lavoro svolto; in effetti, secondo le osservazioni della corte di Cassazione sottoscrizione non ha valore confessorio e non può impedire alla lavoratrice di azionare le proprie pretese retributive.
La busta paga è un documento importante che permette al lavoratore di dimostrare le proprie prestazioni di lavoro ed è regolato dall’articolo 1 della legge 5 gennaio 1953 n. 4. Infatti, la legge impone ad un datore di lavoro l’obbligo, di consegnare ai lavoratori dipendenti, all’atto della corresponsione della retribuzione, un prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi che la costituiscono in modo dettagliato e preciso nel rispetto della chiarezza e della trasparenza.
La corte di Cassazione ha emanato diverse sentenze in fatto di busta paga; in effetti, per via di precedenti decisioni, la Suprema Corte ha sempre ribadito che la busta paga, anche se firmata, non è sufficiente di per sé a dimostrare l’assoluta veridicità, Cassazione sezione civile n. 9588 del 14 luglio 2001, di quanto in essa riportato sia con riferimento alla rispondenza della retribuzione indicata a quanto effettivamente percepito sia con riferimento al numero di giorni lavorati, fino ad arrivare all’inquadramento e ad altri istituti in essa contenuti poiché non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga e pertanto è sempre possibile accertare l’insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore.
Non solo, anche con la presenza della scritta per ricevuta rende inefficace la pretesa del datore di lavoro perché, in base al dettato degli articoli 1362 del codice civile, occorre sempre verificare la reale intenzione delle parti.