Secondo quanto emerge da una recentissima indagine compiuta tra i vertici di alcune imprese italiane, il mercato del lavoro funzionerebbe in maniera molto più efficiente se vi fosse maggiore flessibilità. L’occupazione nelle organizzazioni imprenditoriali, soprattutto di piccole dimensioni, aumenterebbe in maniera sensibile, e l’intero comparto occupazionale italiano ne trarrebbe beneficio.
La posizione di cui sopra non è la nostra, ma è quanto emerge dalla presa di posizione assunta da un’indagine condotta dall’associazione dei direttori del personale Gidp tra quasi 170 iscritti, dalla quale emerge che in caso di abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (la norma che tutela il lavoratore in caso di ingiustificato licenziamento, disponendone il suo reintegro in azienda), il mercato del lavoro ne trarrebbe giovamento.
Certo è che, a ben vedere la costruzione del sondaggio, non verrebbe certo da sorprendersi per i risultati raggiunti. Le imprese interessate dalle indagini sono infatti delle medie o grandi imprese (con più di 15 dipendenti) e pertanto interessate dall’applicazione dello Statuto dei lavoratori. In quasi un caso su due si tratta inoltre di multinazionali, che hanno pertanto la possibilità eventuale di spostare i carichi di lavoro tra più Paesi.
Ebbene, secondo il punto di vista prevalente dei direttori delle risorse umane, l”abrogazione dell’articolo 18 genererebbe un immediato efficientamento del mercato del lavoro. Il 62% degli intervistati si dice addirittura convinto che le aziende ricorrerebbero di meno al lavoro flessibile, mnetre il 68% sostiene che crescerebbe l’occupazione delle imprese con meno di 50 dipendente.
Il tutto – prosegue l’opinione prevalente emergente dal sondaggio – senza peggiorare lo stato della giustizia sul lavoro, perchè per più di uno su cinque il contenzioso rimarrebbe invariato, mentre per la metà addirittura diminuirebbe. E le stesse relazioni sindacali proseguirebbero sugli stessi canoni: secondo un direttore su due i rapporti non verrebbero intaccati, mentre secondo 4 su 10 ne soffrirebbero in minima parte.