Il dato diffuso dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre è davvero sorprendente. Nonostante il periodo di evidente crisi economico finanziaria, infatti, le imprese cinesi – spesso guidate da imprenditori davvero molto giovani – sono cresciute nel nostro Paese del 150% durante gli ultimi otto anni. Un ritmo incredibilmente sostenuto, che non ha praticamente uguali, per dimensione e proporzione di incremento, nella Penisola.
Identiche sono le considerazioni per quanto riguarda gli anni più vicini a noi. La stessa analisi della Cgia di Mestre evidenzia come tra il 2009 e il 2010 il numero di nuove imprese cinesi sia cresciuto dell’8,5%. Nello stesso periodo di tempo, gli imprenditori italiani sarebbero invece diminuiti dello 0,4%, con le nuove attività imprenditoriali asiatiche che rappresentano pertanto una importante controtendenza rispetto alla media nazionale.
Ma quale è il “segreto” di questo boom cinese? Se gli imprenditori cinesi – nonostante le difficoltà congiunturali – continuano a diffondersi nel mercato italiano a macchia d’olio, ci deve probabilmente essere qualche ricetta della quale gli imprenditori delle altre nazioni (oltre che quelli “interni”) sono sprovvisti.
Una spiegazione cerca di darla Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, secondo cui – anche se occorre riconoscere che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successi e di sacrificio, soprattutto nel settore del commercio e della produzione tessile – “la forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi”. Spesso, continua il segretario, “queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali”.
Ma è davvero così? La determinante del successo delle imprese cinesi è riconducibile in gran parte a questa forma di dumping economico?