Il lavoratore ha diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola e, dal 2013, all’Assicurazione sociale per l’impiego ASPI o Mini-Aspi in caso di dimissioni per giusta causa. Per i lavoratori che perdono il lavoro l’ordinamento previdenziale prevede un trattamento economico sostitutivo della retribuzione, erogato dall’Inps.
L’indennità di disoccupazione, che nel 2013 diventerà ASPI, Assicurazione sociale per l’impiego, è una tutela prevista per la disoccupazione involontaria, non per la risoluzione di un rapporto di lavoro voluta dal lavoratore. Infatti, il lavoratore non ha diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria o all’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti se interrompe il rapporto di lavoro volontariamente, quindi in caso di dimissioni volontarie, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa.
Sul diritto all’indennità di disoccupazione nel caso di dimissioni volontarie la Corte Costituzionale chiarisce in quali casi la dimissione è per giusta causa e dà quindi il diritto alla percezione dell’indennità di disoccupazione nonostante la dimissione volontaria del lavoratore.
La Corte Costituzionale, con una sentenza del 2002, ha stabilito che le dimissioni per giusta causa non sempre dipendono dalla libera scelta del lavoratore, ma possono essere causate da comportamenti di altri che impediscono di proseguire il rapporto di lavoro comportando, di conseguenza, uno stato di disoccupazione involontaria.
Pertanto il diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione, agricola e non agricola, deve essere riconosciuto nel caso che si verifichi una causa che non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro (Corte Costituzionale, con una sentenza del 2002, articolo 2119 del codice civile).
L’Inps ha indicato tutti i casi in cui la dimissione è considerata per giusta causa e quindi dà diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali o ridotti e il diritto all’Assicurazione sociale per l’impiego dal 2013.
La circolare n. 163 del 2003 dell’Inps ha chiarito che si considerano “per giusta causa” le dimissioni determinate dai seguenti eventi:
*dal mancato pagamento della retribuzione;
*dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
*dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
*dal cosiddetto mobbing, ossia di crollo dell’equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi (spesso, tra l’altro, tali comportamenti consistono in molestie sessuali o “demansionamento”, già previsti come giusta causa di dimissioni);
*dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione ad altre persone (fisiche o giuridiche) dell’azienda;
*dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” previste dall’art. 2103 codice civile (Corte di Cassazione, sentenza n. 1074/1999);
*dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente (Corte di Cassazione, sentenza n.5977/1985).
Pertanto, l’Inps riconosce l’indennità di disoccupazione solo nei casi in cui sussista una delle cause indicate dalla giurisprudenza.
APPROFONDIMENTI
*Le dimissioni per giusta causa e indennità di disoccupazione
*Indennità di disoccupazione, alcuni casi particolari