Le lavoratrici stagionali, non in astensione obbligatoria e licenziate perché l’azienda ha cessato l’attività, hanno il diritto a riprendere l’attività lavorativa stagionale e alla precedenza nelle assunzioni fino al compimento di un anno di età del bambino.
Il licenziamento imposto durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento della madre lavoratrice, se manca la richiesta di ripristino del rapporto, comporta il pagamento risarcitorio delle retribuzioni successive alla data di effettiva fine del rapporto di lavoro. Il rapporto non viene considerato interrotto, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda.
Si precisa però che, secondo una sentenza del 2000 della Cassazione, al licenziamento della lavoratrice madre non si può applicare l’art. 6 della legge 604 del 1966, che impone l’impugnazione del licenziamento entro 60 giorni. Infatti, una sentenza della Cassazione del 2004 precisa che nel caso in cui sia stato imposto il licenziamento per giusta causa, l’impugnazione del licenziamento va effettuata entro 60 giorni, appunto secondo la norma del 1996 anche se la lavoratrice sostiene che sia stata violata la normativa che tutela la maternità.
La sentenza n. 5749/2008 della Cassazione stabilisce che il divieto di licenziamento vige in rapporto allo stato di gravidanza, pertanto la lavoratrice licenziata nel periodo in cui vige il divieto ha l’obbligo di presentare al datore di lavoro la certificazione delle condizioni di gravidanza nel periodo del licenziamento, in allegato al ricorso con il quale impugna il licenziamento.
Il divieto di licenziamento e la sanzione di nullità dello stesso vige anche nel caso in cui la lavoratrice non ha informato subito il datore di lavoro del suo stato di gravidanza. In questo caso però il diritto alla retribuzione risarcitoria decorre dal momento della comunicazione accompagnata dalla presentazione del certificato medico.
Il licenziamento imposto alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione e fino al compimento del primo anno di età del bambino è illegittimo. Quindi il rapporto di lavoro deve ritenersi giuridicamente pendente ed il datore di lavoro inadempiente ha l’obbligo di riammettere la lavoratrice in servizio e pagarle tutti i danni causati dall’inadempimento per il mancato guadagno (sentenza Cassazione del 2004). Tuttavia, dall’importo del risarcimento devono essere detratte le somme percepite dalla lavoratrice dopo il licenziamento illegittimo, se ha eventualmente lavorato per conto terzi (sentenza 2004).