La Corte di Cassazione è intervenuta definendo che lo scambio di prestazioni di lavoro domestico rese da una straniera estranea alla famiglia, contro vitto e alloggio e retribuzione pecuniaria sia pure modesta dà luogo a rapporto di lavoro subordinato, ove non risultino tutti gli elementi del rapporto cosiddetto alla pari, richiesti dalla legge 18 maggio 1973 n. 304.
La precedente sentenza – il Tribunale di Roma con sentenza del 25 gennaio 2002 rigettava le domande della lavoratrice straniera confermata anche dalla Corte di appello di Roma con sentenza n. 210 del 2006 – sulla base dei testi escussi e delle ammissioni contenute nella domanda di concessione del permesso di soggiorno, ha ribadito l’inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che tra le parti era sorto un rapporto esclusivamente in chiave umanitaria, per aver offerto gli anzidetti coniugi all’appellante vitto ed alloggio in cambio di un aiuto alla stregua degli altri componenti il nucleo familiare.
Contro la sentenza di appello la lavoratrice ha proposto il ricorso per cassazione.
Ora, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che la precedente sentenza deve essere cassata per errore di diritto e, non occorrendo nuovi accertamenti di fatto sul punto (nella motivazione si legge che il contributo economico offerto solo negli ultimi tempi era salito a lire 700.000 mensili), deve ai sensi dell’articolo 384 primo comma codice di procedura civile, decidersi nel merito affermando la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.
In sostanza, la prestazione di lavoro in ambito domestico svolte da un lavoratore straniero ed estraneo alla famiglia stessa danno luogo ad un rapporto di tipo domestico subordinato quando la prestazione è retribuita anche attraverso vitto, alloggio e un compenso, seppur modesto.
I giudici della Suprema corte hanno rilevato che la prestazione deve essere intesa come attività retribuita; in effetti, a fronte del dato di fatto dell’avvenuto svolgimento di prestazioni di lavoro da parte della lavoratrice di aiuto in casa a titolo oneroso, sarebbe stato onere degli appellanti fornire la prova che lo scambio tra collaborazione domestica e il vitto, l’alloggio e il compenso erogato trovava il proprio titolo in ragioni di ospitalità in chiave umanitaria.