La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7471 del 14 maggio 2012, si è espressa in merito alla libertà di critica nei confronti del datore di lavoro. In base ad una precedenza sentenza, cassazione novembre 1995 n. 11436, il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., non può in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro essere subordinata alla volontà di quest’ultimo.
Per questa ragione, la contestazione dell’autorità e della supremazia del datore di lavoro, quando posta in essere dal lavoratore sindacalista e nella propria attività, non può essere sanzionata disciplinarmente.
Non solo, per la Sentenza del 21 giugno 2011 n. 13614, il lavoratore che sia rappresentante sindacale se, per effetto di un comportamento scorretto e/o ostruzionistico del datore di lavoro, lamenti di avere subito un danno non patrimoniale, deve allegare e provare la concreta lesione patita in termini di violazione dell’integrità psico-fisica ovvero di nocumento delle generali condizioni di vita personali e sociali,
In tema di esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, è necessario che il prestatore non travalichi, con dolo o colpa grave, la soglia del rispetto della verità oggettiva con modalità e termini tali da ledere gratuitamente il decoro del datore di lavoro o del proprio superiore gerarchico e determinare un pregiudizio per l’impresa. Il relativo accertamento costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se correttamente e congruamente motivato: Cassazione 8 luglio 2009, n. 16000; Cassazione 14 giugno 2004, n. 11220 e Cassazione 10 dicembre 2008, n. 29008.
L’esercizio da parte del lavoratore, anche se investito della carica di rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro – come deve riconoscersi nel caso in cui un sindacalista si esprima sulla funzionalità del servizio espletato dall’impresa – sebbene sia garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2 della Costituzione), di tutela della persona umana; ne consegue che, ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o a suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (Cassazione 7 dicembre 2003, n. 19350).
► Le ingiurie verso il datore di lavoro non giustificano il licenziamento
► Il datore di lavoro e il reato di estorsione