Abbiamo visto, qualche ora fa, cosa cambia con la riforma del lavoro per quanto concerne i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, e quelli privi di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo. Abbiamo altresì notato come le variazioni più sostanziali introdotte con la riforma Fornero riguardino esclusivamente le imprese con più di 15 dipendenti, mentre nulla varia per quanto concerne le imprese con meno di 15 dipendenti, per le quali permangono le tutele oggi previste, e rappresentate principalmente dal risarcimento compreso tra le 2,5 e le 6 mensilità .
Passiamo ora a comprendere in che modo cambia la flessibilità in uscita per i c.d. licenziamenti discriminatori, la cui nuova disciplina si applica, in maniera similare, anche ai licenziamenti comminati alle lavoratrici nei periodi di interdizione per matrimonio o per maternità , nonché ai licenziamenti determinati da motivo illeciti o nulli per altre cause.
In questo caso, premettiamo, non vale più la regola distintiva che separava le forme di tutela per le piccole imprese da quelle per le grandi imprese. In altri termini, le imprese con meno di 15 dipendenti dovranno fare i conti con una normativa identica per le imprese con più di 15 dipendenti, sia ante che post riforma.
Per quanto concerne il caso del licenziamento discriminatorio per tutte le imprese, quindi, fino ad oggi era previsto che il giudice potesse optare per la reintegrazione in servizio e per il risarcimento del danno, con la possibilità di concedere al lavoratore la possibilità di scegliere l’indennità sostitutiva. Con la riforma, il tutto rimane fondamentalmente invariato, ma viene introdotta una detrazione automatica, anche senza l’eccezione del datore di lavoro, del c.d. aliunde perceptum, ovvero di quanto guadagnato dal lavoratore nel frattempo sulla base degli altri rapporti di lavoro.
Continueremo, ovviamente, a informarvi sull’evoluzione del mercato del lavoro, e su come troveranno applicazione le nuove interpretazioni.