La malattia è un istituto normativo utilizzato per mantenere il rapporto di lavoro, anche se non esiste, in sostanza, una prestazione lavorativa; in effetti, si ottiene una sospensione del rapporto per oggettiva sopravvenuta impossibilità al fine di poter assicurare il prosieguo della prestazione lavorativa.
In questo caso, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo (definito periodo di comporto), la cui durata deve essere stabilita dal contratto collettivo nazionale applicabile.
Non solo, il datore di lavoro, oltre a conservare il posto di lavoro, deve garantire l’intero trattamento economico.
La giurisprudenza ritiene applicabile quanto stabilisce l’articolo 2110 del codice civile. In effetti, durante questo periodo non si interrompe l’anzianità di servizio e il lavoratore ha diritto alla retribuzione o ad un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi, dalla contrattazione collettiva, dagli usi o secondo equità.
Sono ammissibili in giurisprudenza due tipi di comporto: il “comporto secco” e il “comporto per sommatoria”.
Il primo, il comporto secco, è riferito all’assenza continuativa relativa ad un unico episodio di malattia. Il secondo, il comporto per sommatoria, è il cumulo di assenze.
Nel primo caso si rientra in questo particolare meccanismo quando la contrattazione collettiva si limita a prevedere il periodo di comporto soltanto con riferimento alla malattia unica, mentre nel secondo caso la contrattazione collettiva prevede un ampio arco temporale entro il quale non possono essere superati i periodi massimi complessivi di conservazione del posto di lavoro.
Quando il lavoratore supera il periodo di comporto il datore di lavoro può decidere la risoluzione del rapporto di lavoro e non è tenuto a specificare i giorni di assenza.
In questo caso, lo stesso datore di lavoro, non è tenuto a rispettare quanto stabilisce l’articolo 7 della legge 300, Statuto dei lavoratori.
L’eventuale decisione è giustificata attraverso il ricorso all’articolo 2110 del codice civile.
In effetti, il secondo comma del sopra citato articolo stabilisce espressamente che l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto stipulato decorso il periodo stabilito (periodo di comporto) come stabilito dalla contrattazione o dalla legislazione.
In definitiva, la malattia può costituire causa di licenziamento per giustificato motivo e per giusta causa.
La decisione del datore di lavoro non deve seguire i dettami imposti dall’articolo 7 della legge 300 perché non si tratta di un provvedimento di natura sanzionatoria.
In questo caso, l’imprenditore, una volta constatato il superamento del comporto, deve solo giustificare la sua decisione. Non solo, il datore di lavoro non è tenuto nemmeno a specificare i giorni di assenza del suo dipendente a meno di una richiesta scritta come stabilisce l’art. 2 della legge n. 604 del 1966.
Ad ogni modo, il dipendente può chiedere, in ogni momento, al suo datore di lavoro la situazione delle sue assenze per malattia.
Questa posizione è avvalorata dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 278 del 10 gennaio 2008.
salve ,ho assunto 2010 5 gennaio, e fino adesso (agosto) stato 8 settimane malato.piu avanti ditta se vole poi licenzare?(settore metal meccanico)?
@saha pinaki:
dipende dal contratto, ma non per le 8 settimane di malattia non sono una giusta causa.
ciao
Buongiorno nella mia azienda per troppa malattia,si appellano all’articolo 27 del regio decreto n°148/1931 per un insufficiente rendimento lavorativo,e avvisano con una prima raccomandata a mano,poi una seconda e poi scatta il licenziamento per scarso rendimento.Possono farlo visto che è un diritto la malattia,o sono solo chiacchiere per intimorire il lavoratore?
Sono in malattia dal 23/6/2011 per intervento di meningioma oggi 27//11/2012 l’azienda mi ha messo in aspettativa perché’ sono stato ritenuto non idoneo alla ripresa del lavoro cosa posso fare?
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