Un argomento di sicura attualità visto che nel nostro Paese si sta discutendo sull’importante tema della riforma del lavoro come panacea contro tutti i mali visto, con molta probabilità, che gli altri problemi sono solo secondari quali la criminalità organizzata o la corruzione dilagante e a tutti i livelli. Il modello tedesco è sicuramente differente visto che da più parti si sta affermando l’idea che la proposta del Governo Monti si ispira alla Germania. Le cause che possono condurre un lavoratore alla perdita del posto di lavoro rientrano in un comportamento manchevole, motivi personali o necessità aziendali.
Per prima cosa, in Germania, il licenziamento di un lavoratore di un’azienda con più di 10 dipendenti è stato regolamentato il 1° gennaio 2004 con una legge del governo di Gerhard Schroeder.
Il comportamento manchevole si verifica quando un lavoratore compie atti nocivi all’azienda, come il furto, le ripetute assenze o i ritardi ingiustificati, ma anche l’assunzione di droghe o l’abuso di alcol, mentre recentemente si è aggiunto anche l’uso del telefono aziendale per motivi privati e l’accesso ugualmente privato ad internet. Prima di procedere al licenziamento, però, il datore di lavoro deve inviare una diffida scritta al proprio dipendente per il suo comportamento. Solo in caso di recidiva può dunque scattare il licenziamento.
Rientrano nella casistica dei motivi personali quelle ragioni che possono indurre un datore di lavoro a privarsi della collaborazione di un dipendente figurano quasi sempre ragioni di natura familiare, come le lunghe assenze dal lavoro causate da malattia oppure da altre ragioni private. In questi due casi di licenziamento il lavoratore può ricorrere ad un tribunale, che però in presenza di prove incontrovertibili da parte dell’azienda conferma quasi sempre il licenziamento. In casi di difficile accertamento delle responsabilità il giudice invita le parti a trovare un accomodamento, che si conclude sempre con un versamento di una “una tantum” da parte dell’azienda da stabilire caso per caso.
L’ultimo motivo è quello economico sia per il cattivo andamento degli affari, sia per la chiusura definitiva o per la delocalizzazione. Quando si tratta di licenziare una parte del personale per ragioni economiche, un datore di lavoro deve rispettare norme molto rigide nella scelta di chi disfarsi, tenendo conto di criteri quali la durata di appartenenza del lavoratore all’azienda, la sue età, gli obblighi sociali di mantenimento dei familiari e l’eventuale grado di disabilità. In caso di licenziamento per ragioni economiche all’addetto che perde il posto di lavoro viene versata una buonuscita corrispondente a mezza mensilità per ogni anno di appartenenza all’azienda, che deve essere però soggetta a prelievo fiscale.
Con la riforma dello stato sociale voluta da Schroeder i tempi di percezione dell’assegno di disoccupazione sono stati drasticamente ridotti, con l’indennità del 67% che viene versata solo se il disoccupato dimostra di essersi seriamente impegnato nella ricerca di un nuovo lavoro. In ogni caso per un disoccupato di meno di 50 anni la durata dell’assegno di disoccupazione è di 6 mesi, se in precedenza ha lavorato per un anno, poi sale gradualmente fino ad un massimo di 12 mesi per due anni di occupazione continuativa e, in seguito, per chi rimane ancora disoccupato può solo fare ricorso all’assegno di indigenza.