La Riforma del Lavoro ha introdotto notevoli cambiamenti in materia di licenziamento nelle sue diverse motivazioni e definizioni: dal giustificato motivo, che a sua volta può essere oggettivo o soggettivo, al licenziamento individuale a quello collettivo, dal risarcimento al reintegro. In sintesi, una varietà di voci nuove qualcuna delle quali conduce anche al contenzioso.
Iniziamo con un chiarimento: quando scatta il licenziamento che, come già precisato, può essere per giustificato motivo oggettivo o soggettivo, può cioè dipendere dall’azienda o dal lavoratore. Inoltre, in base all’ex art. 2119 del codice civile, il licenziamento individuale di un lavoratore con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato può avvenire per giusta causa o, in base all’art. 3, L.604/1966, per giustificato motivo. Insistendo sui due distinguo.
Il licenziamento per giustificato motivo può essere individuale o plurimo, può cioè riguardare uno o più lavoratori, ma è diverso dal licenziamento collettivo, in quanto, in base ai contratti di lavoro disciplinati dalla legge 223/1991, il datore di lavoro deve dare un preavviso al lavoratore, altrimenti dovrà pagargli la relativa retribuzione. Il giustificato motivo oggettivo può avvenire per crisi aziendale o motivi similari relativi all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento.
Il giustificato motivo soggettivo dipende invece da grave inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore. Il giustificato motivo soggettivo è, però, diverso dalla giusta causa: ha un motivo disciplinare, naturalmente, per inadempienza del lavoratore agli obblighi contrattuali, ma non così grave da provocare il licenziamento in tronco senza preavviso.
Dal giustificato motivo oggettivo al contenzioso
Il datore di lavoro può licenziare un lavoratore dipendente se costretto ad apportare delle modifiche in azienda, ma in caso di contestazione da parte del lavoratore dovrà dimostrare il giustificato motivo oggettivo. Deve, cioè, dimostrare la sussistenza delle ragioni del licenziamento e l’impossibilità di ricollocare il dipendente presso un reparto diverso o di adibirlo a mansioni diverse rispetto a quelle svolte in precedenza. In sintesi, il datore di lavoro deve avere l’onere della prova.
In caso di ricorso, il giudice deve controllare la veridicità delle ragioni addotte, ma non può contestare la riorganizzazione o il ridimensionamento aziendale che il datore di lavoro ritiene necessario. Se il lavoratore può indicare mansioni che avrebbe potuto ricoprire, il datore di lavoro deve giustificare il mancato riposizionamento e, in base all’art. 18 della legge 300/1970 dello Statuto dei Lavoratori, deve procedere al reintegro nel posto di lavoro e ad un risarcimento pari alla retribuzione maturata, includendo i contributi dal giorno del licenziamento a quello del reintegro, con un minimo di cinque mensilità.
Se, invece, il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore di lavoro dovrà applicare la tutela reale o quella obbligatoria. Se il licenziamento illegittimo è avvenuto per motivi economici e quindi per giustificato motivo oggettivo, previo tentativo di conciliazione obbligatoria, è prevista la possibilità di risarcimento senza reintegro, in base alle modifiche all’articolo 18 della riforma del lavoro Monti-Fornero, la quale prevede anche una discrezionalità “limitata” del giudice sull’eventualità del reintegro anche nei casi di licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo e, in alternativa, un’indennità compresa fra le 12 e le 24 mensilità.
La tutela obbligatoria, invece, è disciplinata dall’art. 8 della legge 604/1966: il lavoratore viene riassunto entro 3 giorni oppure ottiene il risarcimento mediante un’indennità tra 2,5 e 14 mensilità con riferimento all’ultima retribuzione. Questa seconda possibilità riguarda spesso le piccole imprese, perché l’articolo 18 non si applica alle imprese con meno di 15 dipendenti.
APPROFONDIMENTI
*Il licenziamento per giustificato motivo, un nuovo pronunciamento della Cassazione
*Licenziamento plurimo e collettivo, dalla Cassazione un chiarimento
*Cassazione, occorre sempre giustificare il licenziamento