La manovra di fine anno 2011 del governo Monti ha riscritto l’intero sistema previdenziale e assistenziale del Paese senza un vero confronto e dibattito sociale, ma, anzi, imponendo il voto di fiducia ad un Parlamento che non sembra sensibile a diverse storture presenti nel decreto.
L’articolo 24, al comma 8, si prevede un aumento per l’età al fine di conseguire il diritto all’assegno sociale; infatti, a decorrere dal 1 gennaio 2018 l’età per ottenere l’assegno sociale è incrementata di un anno. Tenuto conto che l’età prevista per il diritto all‘assegno sociale è soggetta agli incrementi relativi alla speranza di vita, nel 2013-2014-2015 l’età sarà pari a 65 anni e 3 mesi, nel 2016-2017-2018 sarà pari a 65 anni e 7 mesi, nel 2019 arriverà, con il previsto aumento di un anno, a 66 anni e 7 mesi, parificandosi a tutte le altre età previste per il diritto alle prestazioni pensionistiche.
Le prestazioni erogate in favore degli invalidi civili e dei non udenti saranno trasformate in assegno sociale non più a 65 anni ma al compimento dell’età anagrafica richiesta per il diritto all’assegno.
Un altro reale problema che la manovra ha introdotto è la mancanza di chiarezza dei coefficienti; in effetti, fronte di un aumento così consistente dell’età di pensionamento non è ancora stato affrontato i criteri di calcolo. Le diverse compagini sindacali hanno messo in evidenza tutte le storture possibili anche nelle parti dove non si tengono in alcun conto le differenze di mortalità esistenti fra classi sociali, regioni, e tipologie di lavoro.
Non solo, l’incremento dell’aspettativa di vita, percentualmente più elevato per le età più avanzate, ha prodotto una riduzione dei coefficienti che va dal 6,38% nel caso di pensionamento a 57 anni ad un massimo di 8,41% nel caso di pensionamento a 65 anni.
A questo riguardo il nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale afferma che il differenziale prodotto dall’aggiornamento determina una evidente disparità di trattamento tra i lavoratori che vanno in pensione nei diversi anni interessati alla revisione, tanto da rendere conveniente, in prossimità della futura revisione, l’anticipazione di un anno del pensionamento. Il maggiore montante accumulato con la permanenza in attività per un ulteriore anno non copre il peggioramento del coefficiente di trasformazione dal montante in rendita.
Per la CGIL diventa necessario riprendere quanto era previsto nel protocollo welfare del 2007, ossia la costituzione di una Commissione per la revisione dei criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione.