Il collegato al lavoro ha modificato la disciplina sui permessi per l’assistenza ai portatori di handicap; infatti, l’articolo 33 della legge 104/1992 è stato modificato dall’articolo 24 del DDL 1167-B.
Il Legislatore ha apportato alcune modifiche per l’assistenza ai portatori di handicap in situazione di gravità e le variazioni introdotte riguardano tutti i dipendenti a prescindere dal contratto di lavoro stipulato.
Il permesso di 3 giorni mensili retribuiti e coperti da contributi per assistere un familiare, non ricoverato a tempo pieno, spetta solo ai parenti ed affini entro il 2° grado o fino al 3° grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbia compiuto i 65 anni o sia affetto da patologie invalidanti o sia deceduto.
In realtà, nel testo legislativo si è utilizzato il termine “mancanti”, questo termine è abbastanza vago e poco preciso e si presta a molteplici interpretazioni.
Il permesso spetta, inoltre, ad un solo lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona o ad entrambi i genitori lavoratori dipendenti, previa alternanza, per assistere il figlio, anche adottivo, portatore di handicap.
Cambia anche l’art. 42 del D.L.vo n. 151/2001: dopo il compimento dei tre anni da parte del bambino portatore di handicap, il diritto a fruire dei permessi previsti dall’art. 33 della legge n. 104/1992 è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, in maniera alternativa, pur se continuativa nell’ambito del mese.
Al contrario, per i genitori di bambini di età inferiore ai tre anni rimangono invariate le disposizioni precedenti, vale a dire è ancora possibile utilizzare due ore di permesso giornaliero o chiedere il prolungamento dell’astensione facoltativa di maternità fino al terzo anno di vita del bambino.
Nell’attuale stesura non sono più presenti i requisiti di assistenza esclusiva e continuativa come richiesti in precedenza.
Un’altra novità introdotta dal Legislatore è la possibilità di gestire diversamente la sede di lavoro. In sostanza, l’attuale norma prevede di prendere come riferimento il domicilio della persona disabile da assistere e non più quella del lavoratore.
A questo proposito la norma prevedeva, al quinto comma dell’articolo 33, che il genitore, o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, qualora manifesti la necessità di assistere con continuità un parente, o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
In questo caso il lavoratore poteva esercitare un diritto reale soggettivo.