Esistono precisi vincoli di riservatezza e di dignità su cui non è possibile soprassedere.
In modo particolare, non è consentito in una struttura produttiva, dove la parte debole è rappresentata dal lavoratore, mettere a punto mezzi artificiosi al fine di monitorare le attività o i bisogni fisiologici del propri dipendenti.
In sostanza, con la nota n. 337 del 7 aprile 2010, il Garante della Privacy ha stabilito che il datore di lavoro non può obbligare i propri dipendenti a richiedere l’autorizzazione scritta per andare in bagno o, comunque, per assentarsi temporaneamente dalla postazione di lavoro perché un comportamento di questo tipo viola la dignità e la riservatezza dei dipendenti.
Nella fattispecie, l’azienda produce sistemi di sospensione per autoveicoli e opera secondo modalità organizzative che prevedono l’articolazione dell’attività produttiva su 3 turni lavorativi e secondo la logica JIT (Just in Time).
Grazie a questa organizzazione l’azienda è in grado di assicurare la fornitura del prodotto ai clienti dello stabilimento con frequenza predeterminata al fine di limitare eccessivi stock di prodotto finito.
In questo modo l’azienda, oltre a garantire un flusso continuo, riesce a difendere i propri livelli occupazionali.
La società ha fatto presente, in sede dibattimentale, che per garantire il raggiungimento dei dovuti obiettivi di efficacia ed efficienza è necessario assicurare la tempestiva e costante organizzazione dei cicli di lavorazione, la sincronia delle linee produttive e il corretto calcolo dei tempi di lavorazione.
In questo contesto, la società ha ritenuto opportuno che, al fine di garantire l’ottimizzazione dei tempi, l’allontanamento di un qualsiasi addetto al ciclo produttivo fosse adeguatamente segnalato in modo da predisporre ogni azione in tempo tempo reale.
Tutto questo in che modo? Attraverso l’uso di appositi permessi scritti da parte dei dipendenti con l’indicazione del nominativo, del reparto di appartenenza, dell’orario e della motivazione.
I permessi, così predisposti, dovevano poi essere controfirmati dal capo reparto.
L’azienda, oltre a evidenziare che le informazioni così raccolte non venivano registrate e quindi non potevano rientrare tra le materie di competenza dell’Autorità, aveva disconosciuto il comportamento dei singoli capi reparto attribuendo a loro la responsabilità per un’interpretazione non corretta delle proprie disposizioni.
Di diverso avviso il Garante della privacy.
Infatti, l’Autorità ha fatto presente che il meccanismo instaurato dalla società era a tutti gli effetti un trattamento di dati perché, anche se non trattenute o archiviate, le informazioni venivano conosciute dai responsabili che dovevano autorizzare gli allontanamenti.
Il Garante ha ribadito che una modalità di questo tipo è, oltre che sproporzionata rispetto alle finalità per le quali veniva svolta, lesivo della dignità e della libertà dei movimenti dei lavoratori.
A tal fine, il Garante ha chiesto alla società di predisporre nuovi sistemi di comunicazione tra lavoratori e gli uffici preposti del datore di lavoro.