Il Governo Monti auspica una chiusura sindacale unitaria sul tema della produttività visto che, ad oggi, il maggiore sindacato italiano, la CGIL, rimane ancora fortemente critica sull’importante punto delle condizioni di lavoro.
La Cisl, al contrario, ritiene chiusa la partita, mentre per la CGIL il documento sulla produttività non convince perché le “linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia” contiene elementi non condivisibili.
Esistono, sempre per la CGIL, elementi su cui non si può discutere senza minare il ruolo del sindacato e la dignità dei lavoratori; infatti, il salario, la democrazia nel luogo di lavoro e sulle normative contrattuali rappresentano i punti di divisione: il documento, anche per il confronto serrato con la CGIL, iniziale è stato rivisto inserendo alcuni elementi che mirano la difesa delle condizioni dei lavoratori.
La CGIL osserva che il contratto collettivo di lavoro debba avere la funzione di tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni dell’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici di ogni singolo settore, incrementando i minimi tabellari che determinano anche le relative incidenze.
Il secondo livello di contrattazione, che riguarda meno del 30% del lavoro dipendente, deve aggiungere risorse legate alla produttività nell’impresa.
La CGIL, su questo delicato tema, ritiene di dover fare una separazione tra i due livelli
- la garanzia del potere d’acquisto da attuarsi nei rinnovi contrattuali;
- l’introduzione di un altro elemento distinto, che scatterebbe laddove non vi sia la contrattazione aziendale.
La volontà di considerare l’indicatore IPCA come indicatore onnicomprensivo del primo e secondo livello di contrattazione si andrebbe alla differenziazione dei minimi salariali e alla riduzione della protezione del potere d’acquisto delle retribuzioni con un danno sulle retribuzioni dei lavoratori perdendo l’effetto di incentivazione della produttività a fronte di fattori organizzativi e di investimenti che le rendessero disponibili.
Non solo, per la CGIL non è pensabile modificare l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori che vieta il controllo a distanza della prestazione lavorativa, in ragione delle nuove tecnologie, che già per lo Statuto è materia propria della contrattazione aziendale.