La Corte di Cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in materia di requisito territoriale in fatto di indennità di mobilità; infatti, le Sezioni Unite si richiamano allo stretto collegamento che il legislatore ha istituito tra la percezione dell’indennità e l’iscrizione nelle relative liste, le quali hanno struttura territoriale regionale.
In base a ciò risulta, secondo la Corte, la
volontà del legislatore di dar luogo a una fattispecie costitutiva del diritto alla prestazione previdenziale che si concretizza in una vicenda di rilevanza giuridica “localizzata”, allo scopo di evitare, tendenzialmente, che i lavoratori collocati in mobilità siano costretti a trasferirsi in ambiti diversi dal territorio in cui aveva avuto svolgimento il cessato rapporto di lavoro per cercare altrove una opportunità di ricollocazione
Per la Corte di Cassazione diventa fondamentale la circostanza che in una delle zone “svantaggiate” l’impresa abbia scelto di organizzare stabilmente la prestazione lavorativa di alcuni (o, al limite, anche di uno solo) dei suoi dipendenti, in funzione del raggiungimento dei propri obiettivi di produzione.
Non sembra, per la Cassazione, rilevante ai fini dell’identificazione del requisito territoriale altri elementi come il luogo di assunzione, o quello in cui ha sede legale l’impresa o, quello di residenza del lavoratore o quello, infine, in cui è stata aperta la procedura di mobilità.
Infatti, il nostro Istituto previdenziale di riferimento, secondo la circolare n. 95/2008, precisa che per i lavoratori licenziati da imprese operanti nelle aree del Mezzogiorno la durata della prestazione è rispettivamente prolungata per ulteriori dodici mesi ed aggiungendo che la questione aveva luogo, nel tempo, al sorgere di due diversi orientamenti giurisprudenziali, entrambi i quali erano stati fatti propri da diverse sentenze della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.
Il primo orientamento, sostenuto dalle sentenze 27 novembre 2002 n. 16798 e 22 ottobre 2003 n. 15822 , fondava il requisito territoriale sul luogo ove il lavoratore ha svolto la propria attività e si è iscritto, una volta licenziato, nelle liste di mobilità.
Il secondo orientamento riteneva invece che si dovesse far riferimento al luogo ove ha sede l’impresa che riduce il personale e nel quale è stata attivata la procedura di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991.
In realtà, l’apparente contrasto è stato superato dalla decisione dalle Sezioni Unite ha affermato che, nel riconoscere la maggiorazione di dodici mesi del periodo di erogazione della prestazione, debba farsi esclusivo riferimento al luogo ove l’impresa abbia deciso di organizzare stabilmente il lavoro del soggetto interessato, anche in mancanza di un’unità operativa stabilmente organizzata.
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