Quanta ricerca e sviluppo si fa nelle imprese italiane? La risposta è: pochissima. Almeno a confrontare i dati provenienti dal nostro Paese, con quelli che invece sembrano poter contraddistinguere un presente roseo per le corporate e le medie imprese americane, che guidano in maniera indiscutibile la classifica delle imprese con il maggior contributo in termini di ricerca e di studi per l’innovazione e il miglioramento continuo.
Secondo quanto affermano due indagini (una della Commissione Europea, l’altra della Booz & Company), il 35% della ricerca mondiale sarebbe finanziato dalle aziednde statunitensi. Il solo Paese nordamericano riesce a contribuire alla ricerca su scala internazionale per una quantità maggiore rispetto a quanto effettuato dall’intero vecchio Continente, che della torta della ricerca mondiale possiede il 33,5%.
Stupisce, invece, vedere come i nuovi Paesi emergenti si dimostrino piuttosto timidi quando si tratta di investire nello sviluppo. In Asia, ad esempio, se è pur vero che il consolidato e maturo Giappone contribuisce al 21,7% della spesa per la ricerca mondiale, le imprese cinesi rimangono estremamente attardate, con una percentuale pari all’1,7%.
Per quanto ovvio, i dati cinesi, così come quelli relativi agli altri Paesi emergenti, vanno letti in maniera dinamica: l’investimento del Dragone nella ricerca è così cresciuto del 29,5% nel 2010, contro il 10% degli Stati Uniti e il 6% dell’Europa. Dei 412 miliardi di euro spesi nella ricerca e nello sviluppo nel corso dello scorso anno, oltre il 90% provengono da Stati Uniti, Europa e Giappone.
Non illuda, infine, il dato europeo. Se è vero che il vecchio Continente pesa per circa un terzo della ricerca mondiale, è altrettanto vero che al suo interno il leader indiscusso di tali investimenti è la Germania, che assorbe circa un terzo della ricerca europea, lasciando alle altre economie i rimanenti due terzi.