Il Tribunale di Milano ha già applicato le modifiche dell’articolo 18 previsto dalla Riforma del Lavoro: in caso di licenziamento illegittimo, al lavoratore spetta un risarcimento economico ma non il reintegro nel posto di lavoro. La Cassazione, invece, con una sentenza boccia la violazione del principio di buona fede.
Il Tribunale di Milano, quindi, ha emesso una delle prime sentenze in applicazione delle modifiche all’articolo 18 apportate dalla Riforma del Lavoro: ha riconosciuto le ragioni del lavoratore che ricorreva contro un licenziamento illegittimo anche se per giustificato motivo oggettivo, ma ne ha deciso un risarcimento economico e non il reintegro nel suo posto di lavoro.
In questo caso è stata applicata la nuova legge introdotta dalla Riforma Fornero, che fa una netta distinzione fra il reintegro nel posto di lavoro e l’indennizzo del danno in aziende che hanno più di 15 dipendenti.
In base al comma 42 articolo 1 legge 92/2012 il giudice può decidere di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro se accerta «la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento», mentre nei casi in cui accerta l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve disporre un risarcimento in denaro (fra 12 e 24 mensilità).
Infatti il giudice, in base all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, può decidere un risarcimento economico in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici e disciplinari, ma è obbligatorio il reintegro per i licenziamenti illegittimi.
IL CASO
Il datore di lavoro non è riuscito a dimostrare l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre attività. E inoltre non c’è stata una procedura di conciliazione, secondo quanto previsto dalla riforma per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ordinanza 28 novembre 2012 sezione Lavoro Tribunale di Milano).
In base a questi due elementi i giudici hanno considerato illegittimo il licenziamento, condannando il datore di lavoro a pagare un risarcimento pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione percepita.
COSA DICE LA CASSAZIONE
La Cassazione, con sentenza n.6 del 2013 su un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dichiara illegittima la violazione del principio di buona fede che il datore di lavoro deve rispettare nei rapporti di lavoro con i dipendenti.
IL CASO
Una dipendente alla quale, otto mesi prima del licenziamento, era stato proposto il trasferimento in un’altra società del gruppo, aveva rifiutato la proposta, ma solo perché ignorava che la proposta di ricollocazione era l’unico modo per mantenere un posto di lavoro che sarebbe stato soppresso. L’azienda, infatti, non aveva specificato il motivo della proposta di trasferimento: aveva quindi violato il principio di buona fede.
APPROFONDIMENTI
*Licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nella riforma
*Regole nuovo articolo 18 sui licenziamenti
*Dalla Cassazione il mancato reintegro del lavoratore licenziato