Nel corso delle ultime ore ha preso piede la possibilità che anche in Italia venga esteso il modello tedesco sul lavoro, in particolare riferimento ai licenziamenti. Tuttavia le discussioni tra le parti sindacali, quelle industriali e quelle governative, sembrano essere ancora ben lungi da una definitiva conclusione, e diversi aspetti – primo tra tutti, quello sull’articolo 18 – creeranno presumibilmente nuovi attriti tra le diversi parti di interesse.
Eppure, negli scorsi giorni, un primo passo in sostanziale avanzamento vi è stato. A compierlo il segretario generale della Uil Luigi Angeletti, secondo cui vi “sarebbero le condizioni per firmare l’accordo”. Più caute le altre parti, con Raffaele Bonanni, segretario Cisl, che sembra essere propenso a spingere verso l’applicazione del contro del giudice – ma limitato alla sola verifica che non si tratti di evento discriminatorio – nell’ipotesi di licenziamento per causa economica.
Probabile anche l’accordo per i licenziamenti “disciplinari”. In questo caso, potrebbe essere previsto l’abbattimento dell’attuale normativa che preveda un intervento del giudice, e – nel caso in cui non esista il giustificato motivo – il conseguente reintegro e l’indennizzo. Con la riforma invece il lavoratore avrebbe diritto al primo o al secondo intervento, fino a un massimo di 18 mensilità secondo – appunto – il modello tedesco.
Più distanti dal tavolo negoziatore i rappresentanti della Cgil. Susanna Camusso – segretario della Confederazione – vorrebbe avere una norma più incisiva sulla rappresentanza sindacale, che possa esser di concreto aiuto alle posizioni Fiom in Fiat, oltre a uno stop delle dimissioni in bianco per le donne (deprecabile pratica utilizzata troppo frequentemente per rompere il rapporto di lavoro in caso di gravidanza da parte delle lavoratrici femminili), misure di conciliazione tra lavoro e famiglia, contrasto efficace all’abuso del lavoro precario e garanzie per i lavoratori esodati, recentemente penalizzati dalla riforma delle pensioni.