Tanto parlare per niente? Potrebbe essere questa la conclusione cui si è giunti nell’analisi della Riforma Fornero dopo la sentenza del tribunale di Bologna del 15 ottobre sul procedimento n. 2631/2012, una delle prime pronunce dopo la legge n. 92/2012 che ha introdotto la modifica sulla disciplina dei licenziamenti. Stando a quanto emerso in sede processuale, infatti, sono sufficienti le scuse del lavoratore per rendere insussistente il fatto contestato che sta all’origine del licenziamento disciplinare. Ma vediamo più nel dettaglio cosa è accaduto, e perché la riforma Fornero potrebbe essere parzialmente inutile.
L’insussistenza invocata permette infatti al giudice di applicare la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro, in luogo di un indennizzo economico. Sulla base del ragionamento effettuato dai giudici del tribunale di Bologna, infatti, il «fatto contestato» fa necessariamente riferimento al cosiddetto «fatto giuridico» che non può prescindere dall’elemento soggettivo, psicologico, cioè di volontà dell’azione del lavoratore, mancando il quale diventa inevitabilmente «insussistente».
“La vicenda” – ricorda il quotidiano Italia Oggi del 24 ottobre 2012 in un articolo a firma di Daniele Cirioli – “riguarda il licenziamento disciplinare di un dipendente per invio di un’email offensiva al superiore. Ricostruiti i fatti, il giudice arriva alla conclusione che sotto il profilo della valutazione di gravità, il comportamento del lavoratore (il «fatto contestato ») non è idoneo a integrare il concetto di giusta causa di licenziamento. È a questo punto che il giudice, dovendo decidere per la disciplina da applicare, prende in esame le nuove norme della riforma dell’articolo 18 della legge n. 300/1970 (lo statuto dei lavoratori)”.
Considerato che la riforma prevede la possibilità che il giudice possa disporre la reintegra del lavoratore nelle ipotesi in cui non ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, in presenza cioè di «insussistenza del fatto contestato» o qualora il fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il giudice stesso ha ritenuto che la disposizione, parlando di fatto, faccia riferimento a quello giuridico, “inteso come il fatto globalmente accertato, nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente inerente l’elemento soggettivo. Né può ritenersi, aggiunge il giudice, che l’espressione «insussistenza del fatto contestato» faccia riferimento al solo fatto materiale, posto tra l’altro che potrebbe giungere a ritenere applicabile la sanzione del licenziamento indennizzato anche a comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale e oggettivo, ma privi dell’elemento psicologico o addirittura dell’elemento della coscienza volontà dell’azione” – conclude il quotidiano.