Soltanto tra tre anni, nel 2022, ben il 65% della forza lavoro europea – circa 123 milioni di cittadini – sarà composta da lavoratori mobili. È quanto ha stabilito la società di analisi IDC, secondo cui l’era del digital workplace, cioè del lavoro da remoto, è ormai dietro l’angolo.
Niente più viaggi da pendolari e orari di lavoro fissi: si lavora ovunque e fuori dall’orario canonico, si usa Skype per le riunioni e Slack per comunicare in tempo reale con colleghi e superiori. La buona vecchia scrivania in ufficio, con tanto di piantina e foto incorniciata della famiglia, è sostituita dal proprio laptop personale, appoggiato sul tavolo di qualche internet café, magari a chilometri e chilometri dai propri datori di lavoro. Documenti e progetti sono salvati sul cloud, così ogni lavoratore può accedervi comodamente, indipendentemente da dove si trova, dal dispositivo che utilizza o dall’orario in cui si connette.
Un’azienda che opera in modo esemplare con queste modalità è Automattic, proprietaria di diverse piattaforme web, tra cui WordPress. Ha da tempo venduto i propri uffici e i suoi 936 dipendenti lavorano tutti da remoto, vivono in 70 paesi diversi e parlano 88 lingue.
In pratica, con il digital workplace ciò che conta non è “quando entri o quando esci dal lavoro” ma solo “cosa fai”. Se alcuni paesi, come gli Stati Uniti, hanno abbracciato da tempo questo stile di lavoro e ne stanno incrementando la mole, l’Italia è ancora un po’ indietro. Nel nostro paese i mobile worker sono circa 7 milioni (su 22 milioni di occupati), destinati a salire a circa 10 milioni entro il 2022, sempre secondo la IDC. Stime che collocano l’Italia sotto la media europea, ma non è nulla di cui preoccuparsi: nonostante il mondo delle imprese italiane – soprattutto quelle più piccole – sia restio ad abbracciare le novità, le opportunità di smart working sono in crescita anche da noi. Una crescita che sarà esponenziale.
Lavorare da remoto può spaventare, perché richiede capacità di autogestione e intraprendenza, ma è anche un’ottima opportunità, perché permette una flessibilità senza precedenti. Dopo tutto, ciò che occorre è solo un pc e una connessione internet: niente di più. Un lavoratore felice è produttivo e la libertà di lavorare ovunque rende più felici. Non a caso le aziende che permettono di lavorare da remoto ricevono in media sei volte più candidature rispetto alle aziende “tradizionali”.
Tutta questione di mentalità
Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, l’adozione di un modello “maturo” di Smart Working può produrre un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, ossia 13,7 miliardi di euro di benefici complessivi per il paese. Oltre ai benefici economici, andare incontro alle nuove esigenze del lavoratore significa anche capire la direzione in cui sta andando il mondo del lavoro: ad aziende mature corrispondono lavoratori maturi, che gestiscono il proprio work-life balance con responsabilità, autodisciplina e motivazione, non importa se da uno spazio di coworking, dal proprio appartamento o da una spiaggia delle Fiji. Ciò che conta non è la quantità di lavoro – o peggio: il tempo che ci si impiega – ma la qualità, i risultati raggiunti.
Si tratta di acquisire una nuova mentalità, perché i mezzi per lavorare bene da remoto ci sono già. Ci sono app e gestionali che facilitano la condivisione e la comunicazione, c’è la connessione internet quasi ovunque, ci sono piattaforme che aggregano domanda e offerta – come Upwork, Freelancer o Guru – e c’è anche la possibilità di ricevere pagamenti con le carte virtuali, per facilitare anche le operazioni di retribuzione attraverso sistemi semplici che consentono di fissare limiti di spesa e agire senza l’intermediazione del reparto amministrativo.
Non sono solo i giovani, i millenials o i nativi digitali a preferire un’organizzazione del lavoro più liquida e orizzontale. Spesso si tratta di professionisti affermati, che utilizzano le tecnologie digitali per esprimere le proprie competenze da qualsiasi luogo nel mondo, magari inseguendo le proprie passioni e assecondando esigenze personali. Come Alberto Mattei, cinquantenne, fondatore del progetto Nomadi Digitali. Il fenomeno del nomadismo digitale è dunque in piena crescita e comprende scrittori, fotografi e programmatori freelance, imprenditori, ma anche dipendenti di aziende che decidono di sperimentare nuove forme di organizzazione del lavoro. Che possono anche essere vere e proprie scelte di vita.