Il reato di stalking è una novità per il nostro ordinamento giuridico. In effetti, il Parlamento, con la legge del 23 aprile 2009 n. 38, ha convertito in legge il decreto 11/2209 nel quale sono contenute norme volte a contrastare l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale.
In realtà, nella legge approvata sono anche contenute norme di estrema novità giuridica che definiscono, e ne danno una valenza penale, il fenomeno meglio conosciuto come stalking (atti persecutori) e ne sanciscono gli aspetti repressive.
Di sicuro a noi di Gazzetta del Lavoro interessa il fenomeno con particolare riguardo all’ambiente lavorativo, ovvero tra datore di lavoro e lavoratore.
Il decreto legge n. 11/09 introduce nel nostro ordinamento , una nuova fattispecie di reato finalizzata a far venire meno la pericolosa condotta persecutoria nei confronti soprattutto delle donne.
Secondo il Legislatore, la legge prevede, in maniera esplicita dall’articolo 612 bis del codice penale, che chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Una delle prime azioni di difesa è l’ammonimento previsto dall’articolo 8 della legge.
L’articolo 8 prevede, per chi non voglia ricorrere subito all’autorità giudiziaria, di fare in un primo momento un esposto al questore. Questo, in virtù delle due funzioni di autorità di pubblica sicurezza, convocherà il molestatore per un ammonimento verbale.
Prima però il questore ha il dovere di acquisire le necessarie informazioni dagli organi investigativi e deve sentite le persone informate dei fatti.
In caso di reiterazione del reato allora sarà necessario procedere d’ufficio senza necessità della denuncia della vittima.
In caso di difetto di presentazione di istanza di ammonimento, il reato è procedibile solo a querela di parte da presentarsi entro sei mesi dalla cessazione della condotta, con l’eccezione in cui il reato sia commesso ai danni di un minore o di un disabile o sia connesso con altro reato procedibile d’ufficio. Secondo i dettati della legge la querela è revocabile.