Nel nostro Paese sono all’incirca un migliaio le persone iscritte alla Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, la Sicpre, e che quindi potrebbero sulla carta esercitare la professione. Pur tuttavia, le persone che lavorano nel business del “ritocco” in Italia sono tra i tre ed i quattromila, da cui ne consegue che ci sono dai mille ai duemila professionisti del “ritocco” rigorosamente “improvvisati“, ovverosia privi di specializzazione. Quella del chirurgo estetico, tra l’altro, è una professione che, con o senza titolo, negli ultimi anni non ha conosciuto crisi, e che è caratterizzata da una persistente ed elevata domanda da parte dei cittadini visto che l’apparire conta sempre più rispetto ai contenuti ed alla sostanza. In ogni caso, nel nostro Paese, la normativa in materia di esercizio della professione di chirurgo plastico ed estetico è molto lasca, nel senso che, senza alcuna specializzazione al riguardo, basta avere una laurea in medicina, essere abilitati ed avere la regolare iscrizione all’Ordine dei medici.
A mettere in risalto questa situazione, in accordo con quanto si legge sulle pagine Web dell’Adnkronos, è Nicolò Scuderi, che ricopre il ruolo, presso la “Sapienza” di Roma, di professore ordinario di Chirurgia plastica. Di conseguenza, visto che la domanda di prestazioni di chirurgia plastica ed estetica è elevata, e visto che per un medico trovare un lavoro, stabile e ben remunerato, magari presso il Servizio Sanitario Nazionale, è sempre più difficile, allora non stupisce il fatto che nel nostro Paese molti giovani medici, tantissimi rispetto a quanti risultano essere iscritti alla Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, esercitano la professione come soluzione per trovare lavoro.
Ma chiaramente un medico, magari un dentista, o ginecologo, che segue la strada della chirurgia estetica e plastica non lo fa per ripiego, ma anche e soprattutto perché l’esercizio di tale professione rende bene. Non a caso, il Professor Scuderi ha sottolineato come gli italiani, anche in tempi di crisi, a tutto vogliono rinunciare tranne che alla cura del proprio aspetto fisico. Con la conseguenza che si rinuncia magari all’acquisto di beni e servizi indispensabili per puntare sul “superfluo”, su un “ritocchino” che cambia la forma ma non la sostanza.