Licenziabile il lavoratore che fa usare il suo PC di lavoro ad altre persone

 La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 2056 del 27 gennaio 2011, ha ritenuto “correttamente motivata la sentenza del giudice di merito che, nell’affermare la legittimità di una sanzione disciplinare espulsiva, ha ritenuto la gravità della condotta del lavoratore consistita nella violazione di disposizioni specifiche del datore di lavoro sulla sicurezza informatica”.

Cassazione, la discrezionalità del datore di lavoro per il part time

 La Corte di Cassazione, con sentenza del 4 maggio 2011 n. 9769, ha chiarito che spetta al datore di lavoro, in virtù della discrezionalità sugli aspetti organizzativi della sua azienda, stabilire se esiste l’eventuale esigenza di ricorrere al lavoro a tempo parziale.

È, in effetti, l’azienda, in presenza di proprie esigenze organizzative e produttive, può accogliere domande di prestazione a tempo parziale presentate dai dipendenti in servizio o, in alternativa, assumere lavoratori a tempo parziale. In sostanza è un potere decisionale che compete solo al datore di lavoro e, per questa ragione, non è possibile mettere in discussione le scelte di questo tipo.

Cassazione, obbligatorietà dei contributi

 La corte di Cassazione con la sentenza del 7 aprile 2011 n. 7961 ha chiuso una vicenda aperta dalla Corte di Appello di Napoli in seguito alla richiesta di una impresa edile di rendere inapplicabile la norma che prevede l’obbligo di versare i contributi sul  monte orario di 40 ore settimanali, così come previsto dal contratto collettivo nazionale in vigore.

In effetti, l’impresa edile contestava la supposta pretesa dell’Inps dell’obbligo di versare i contributi non sull’importo delle retribuzioni erogate ai dipendenti per le ore effettivamente lavorate a causa della discontinuità dell’attività d’impresa ma sulle quaranta ore settimanali.

La Corte, richiamando la sentenza n. 12604 del 2008 e la legge n. 341/1995, nel determinare la misura dell’obbligo contributivo previdenziale ed assistenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, prevede l’esclusione dall’obbligo contributivo di una varietà di assenze.

Cassazione, la qualifica del preposto alla sicurezza

Per svolgere il ruolo di preposto alla sicurezza è necessario essere fornito di una espressa delega da parte del datore di lavoro o può essere sufficiente aver svolto, in posizione di responsabilità, mansioni inerenti alla sicurezza del lavoro o, ancora, aver semplicemente raccomandato i colleghi di prestare particolare attenzione in base alla propria esperienza personale?

A riguardo la corte di Cassazione ha deciso di entrare nel merito attraverso la sentenza, sezione penale sez. IV del 3 novembre 2010 n. 38691, chiarendo che, ai fini probatori, non è espressamente richiesto un documento formale che possano individuare un particolare lavoratore con la funzione di preposto visto che il giudice, grazie al suo ruolo, può risalire al lavoratore in questione anche attraverso testimonianze o accertamenti fattuali.

Trattenute sindacali: obbligo del datore di lavoro

 La Suprema Corte, nella sentenza n. 9049 del 20 aprile 2011, ha affermato “l’illegittimità del rifiuto datoriale di effettuare le trattenute sindacali in ragione dell’elevato numero dei dipendenti, ritenendo che il solo elemento dimensionale dell’impresa sia del tutto insufficiente a dimostrare l’inesigibilità dell’obbligo datoriale, potendo il datore ovviare alle difficoltà attraverso una organizzazione adeguata”.

Periodo di comporto, no al licenziamento se la malattia deriva da un ambiente di lavoro insalubre

La corte di Cassazione con sentenza n.7946 del 7 aprile 2011 ha stabilito l’illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto nel caso in cui la malattia del lavoratore sia stata determinata da un ambiente da lavoro insalubre.

Si conclude così l’iter processuale iniziato dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza del 14 luglio 2008 che accoglieva il gravame svolto da una società contro la sentenza di primo grado, non definitiva, che aveva ritenuto revocato un primo licenziamento intimato illegittimo per superamento del periodo di comporto con conseguente tutela reale, e contro la sentenza definitiva che aveva condannato la società al pagamento delle retribuzioni dal giorno del licenziamento alla reintegrazione.

Cassazione, la responsabilità del datore di lavoro anche in costanza di rapporti familiari

La Corte di Cassazione in Sezione Penale ha riconosciuto, con sentenza del 27 ottobre 2010 n. 38118, la responsabilità del datore di lavoro, titolare di una impresa artigiana, per il reato di omicidio colposo commesso con violazione alle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ai danni del figlio.

Il datore di lavoro non può sottrarsi alle sue responsabilità anche se il lavoratore infortunato è il proprio figlio perché, oltre ad essere titolare dell’impresa, è anche responsabile della prevenzione infortuni della stessa Ditta.

Nella fattispecie, il datore di lavoro si era reso colpevole per aver cagionato un infortunio per colpa, violazione dell’articolo 18 comma 3 del DPR n. 547 del 1955, per non avendo fornito al figlio, assunto come collaboratore familiare, una scala dotata di tutti i dispositivi di sicurezza idonei a impedire lo scivolamento; in effetti, dall’esame dell’incidente si era constatato che la scala era priva dei piedi antisdrucciolo.

Liceziamento del lavoratore durante la malattia

 La Cassazione, con sentenza n. 6375 del 21 marzo 2011, ha affermato che è illegittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro per assenza del lavoratore dal proprio domicilio, durante il periodo di malattia, al fine di effettuare acquisti e altre attività quotidiane.

Cambiare le mansioni ad un lavoratore: è possibile?

 Con sentenza n. 8527 del 14 aprile 2011, la Cassazione ha affermato che ai fini della verifica dell’esercizio del potere da parte del datore di lavoro di mutare le mansioni ad un proprio lavoratore, occorre valutare l’omogeneità tra le mansioni attribuite e quelle precedenti sulla base della equivalenza tra la competenza richiesta e l’utilizzo del patrimonio professionale.

Sono equivalenti le mansioni che consentono l’utilizzo ed il perfezionamento delle nozioni ed esperienza acquisite nella fase pregressa del rapporto (in questo senso anche Cassazione, 9 giugno 1997 n. 5162).

Cassazione, pagamento del TFR dal Fondo di garanzia Inps

 La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7585 del 1° aprile 2011, ha ribadito che in caso di mancato pagamento, da parte del datore di lavoro, del TFR, questo deve essere corrisposto dal Fondo di garanzia Inps anche se non è stato dichiarato il fallimento del datore stesso.

Ricordiamo che il Fondo di garanzia è istituito presso l’istituto nazionale della previdenza sociale, Inps, ed è denominato esattamente come Fondo di garanzia per i trattamento di fine rapporto, con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto.

Cassazione, il datore di lavoro non è esonerato dalla comunicazione dei criteri e delle modalità

La Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale sulle  modalità della fruizione dei periodi di cassa integrazione e dei suoi criteri di scelta dei lavoratori da parte del datore di lavoro; in effetti, la Suprema corte, sentenza n. 4053 del 18 febbraio del 2011, ha stabilito che esiste sempre l’obbligo a carico del datore di lavoro di ottemperare alle disposizioni contenute nella legge n. 164/75 e n. 223/91.

Secondo le disposizioni, nei casi di eventi oggettivamente non evitabili che rendano non differibile la contrazione o la sospensione dell’attività produttiva, il datore di lavoro è tenuto sempre a comunicare alle rappresentanze sindacali aziendali o, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia, la durata prevedibile della contrazione o sospensione e il numero dei lavoratori interessati.

Cassazione, l’accredito figurativo per i lavoratori dell’amianto

 Importante novità in fatto di calcolo del periodo di computo per il prepensionamento dei lavoratori infortunati in seguito all’uso e all’esposizione con l’amianto.

La Corte di Cassazione chiarisce alcuni punti in merito all’annosa questione dell’accredito dei contributi figurativi utili al riconoscimento della pensione per i lavoratori del settore amianto.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6031 del 15 marzo del 2011, ha stabilito un’importante principio, ossia l’accredito dei contributi figurativi per il prepensionamento a beneficio del lavoratore infortunato in seguito all’esposizione con l’amianto è ammissibile soltanto nei limiti del raggiungimento dei requisiti per la pensione.

La Suprema Corte, fermo restando il diritto al pensionamento anticipato per i lavoratori soggetti a prolungata esposizione all’amianto così come stabilisce il decreto legge n. 185/1994, ha posto in evidenza che non è ammissibile determinare il periodo complessivo di contribuzione ai fini pensionistici, superiore ai trentacinque anni, il minimo previsto per l’accesso al trattamento della pensione di anzianità.

Cassazione, per l’inabilità il reddito deve essere cumulato

La Corte di Cassazione è stata chiara: per ottenere la pensione di inabilità per gli invalidi civili assoluti è necessario tenere conto l’ammontare complessivo dei redditi comprensivo del reddito dell’eventuale coniuge. La decisione della corte Suprema, Sezione Lavoro con sentenza n. 4677, risponde in maniera positiva alle richieste dell’Inps e del Ministero dell’Economia, anche se rimane aperto il giudizio davanti alle Sezioni unite.

La ricorrente si era vista rigettare, mediante sentenza del 17.10.2007 – 28.04.2008 dalla Corte di Appello di Roma, l’impugnazione proposta nei confronti dell’Inps, e del Ministero dell’Economia, che aveva respinto la sua domanda di pensione di inabilità civile.

Consiglio Nazionale Forense, non esiste incompatibilità tra enti privatizzati e pubblici

La decisione arriva dopo dieci anni e farà di sicuro contenti gli avvocati che, pur essendo dipendenti di Enti privatizzati, possono in ogni caso patrocinare le cause per l’Ente da cui dipendono.

Nel caso particolare, il Consiglio Nazionale Forense ha deliberato la reiscrizione di tre degli avvocati – tra i quali lo stesso Dirigente, dell’Ufficio Legale dell’Inpgi nell’Elenco Speciale Aggiunto all’Albo degli Avvocati di Roma – ponendo così fine ad un  contenzioso decennale.

Ricordiamo che nel 2001, nell’ambito di una revisione dell’elenco degli avvocati che patrocinano direttamente le cause per l’Ente da cui dipendono, l’Ordine degli avvocati di Roma aveva ritenuto che gli avvocati dipendenti degli Enti privatizzati non potessero essere assimilati agli avvocati dipendenti degli Enti pubblici.