L’8 agosto del 1956 alle 8 e 10 del mattino inizia la tragedia che vedrà la morte di 136 lavoratori italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino.
Dopo la seconda guerra mondiale, la necessità di una ricostruzione industriale porta il governo belga a lanciare la “battaglia del carbone” e la prima volontà delle autorità era quella di evitare di ricorrere alla manodopera straniera, ma ben si rende obbligatorio il ricorso all’immigrazione, in modo particolare, delle manodopera italiana.
Il protocollo di intesa italo-belga è del 23 giugno 1946 e prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio della fornitura annuale di un quantitativo di carbone, a prezzo preferenziale, compreso tra le due e le tre milioni di tonnellate: inizia così la tratta degli schiavi italiani dove il governo, per convincere questi uomini a lavorare nelle miniere belghe, presentano unicamente gli aspetti allettanti di questo lavoro (salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato …).